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TESTATA RIVISTA


    A. Augenti,  Parità, questione secondaria?

     Non sono sicuro che il problema del riconoscimento del ruolo che, nell'ambito del più generale sistema d'istruzione e di formazione, i privati possono essere chiamati a svolgere sia da ritenere una questione di non primaria rilevanza. E' una tesi, questa, in verità accreditata da molti. Gli stessi esperti dell'OCSE, quando si sono recentemente pronunciati sulle linee della nostra politica scolastica, hanno osservato che quello della parità è problema tutto italiano; negli altri paesi non viene vissuto in termini così ideologici, né viene drammatizzato per gli aspetti relativi al finanziamento dell'iniziativa privata da parte dei Governi.
     Sono però in pochi a ricordare che la presenza dei privati nel settore dell'istruzione e della formazione non è altrove marginale, come in Italia. E sono in pochi a segnalare che dalla Gran Bretagna, alla Francia, all'Austria i Governi prevedono nel budget pubblico fondi non inapprezzabili per favorire l'esercizio del diritto allo studio e alla formazione, anche presso istituzioni non statali, con modalità differenti: versamento di borse di studio, rimborso delle tasse d'iscrizione a seconda del reddito familiare, erogazione di sussidi per le spese straordinarie, retribuzione delle spese per il personale.
     La posta in gioco deve essere, naturalmente, la garanzia d'indipendenza delle scuole; verrebbe voglia di dire, di ogni scuola, statale o non statale che sia. L'ordinamento costituzionale italiano la prevede, ma è riduttivo e distorcente invocarla esclusivamente con riferimento alla questione degli oneri a carico o meno dello Stato. La Costituzione, ne sono anch'io convinto, ha fatto il suo tempo sotto questo profilo, ma sarebbe poco corretto da un punto di vista civico-politico disattenderla, fin che essa rimane in vigore nella parte che qui interessa.
     Il problema va riproposto sul terreno della estensione dell'area dell'offerta d'istruzione e di formazione. L'autoreferenzialità dell'ordinamento statale, con i vincoli che non sono sempre di garanzia ma anche asfitticamente burocratici, non è più sufficiente a promuovere e liberare la risorsa umana, fattore primario dello sviluppo.
     Mi sembra, peraltro, di non poter condividere fino in fondo la tesi di quanti insistono sul tasto della competitività per allargare il mercato dell'offerta e per attendere risultati di maggiore qualità. Se il verbo della "lifelong society" e del sistema integrato non è soltanto il dato di un esercizio intellettuale, ma anche il segnale politico di una concreta modalità di offerta larga di opportunità, occorre trarne le conseguenze anche sul piano della considerazione di valori non utilitaristici: l'efficacia dei risultati, la qualità degli standard e la possibilità di valutarli, ma in primo luogo la tutela del diritto allo studio e alla formazione.

 

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