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TESTATA RIVISTA


    F. Cambi,  Sulla parità scolastica: cinque annotazioni

  1. Il tema è, prima di tutto, un "tormentone" che ci assilla già dall'Ottocento e poi dal primo dopoguerra su su fino alla Costituente e alle opposizioni polemiche della guerra fredda, riarticolate in Italia tra laico-marxisti e cattolici. E' un problema in sé già risolto dalla Costituzione, che garantisce la libertà e la laicità insieme, ma considera anche irreversibile la laicizzazione dell'insegnamento, attuatasi nella Modernità. La Carta, invece, è stata considerata un limite imposto da una certa parte della collettività che può, orientarsi liberamente "sul mercato". Appunto: qui si riduce anche l'insegnamento-formazione a qualcosa di mercantile, con le sue etichette di garanzia, con i suoi costi, con i suoi ricavi. In realtà, le ragioni della "scuola privata" e della sua libertà sono squisitamente polemiche e non pedagogiche, poiché – per un lato chi può imporre, legittimamente, ai figli le proprie credenze? Lo si faccia con l'esempio, non con l'indottrinamento, se mai; per un altro quale vantaggio ha la collettività dall'esistenza di molteplici forme di scuola? Di re-ideologizzare l'insegnamento proprio nel tempo del "dopo le ideologie"? – si tratta di riaffermare e uno spazio e un principio, a garanzia di una persistenza, e centrale, nelle dinamiche formative della società, al di là degli spazi "di fede". E tutto ciò che è politicamente ovvio e anche giusto. Pedagogicamente lo è un po' meno, poiché se una libertà va salvaguardata non è quella delle scuole o delle fedi (in questo ambito), bensì quella dei soggetti che proprio nella prassi di una scuola laica trova il proprio e più vero riconoscimento.
  2. Ma sulla scuola laica bisogna chiarirci le idee. Non è scuola di laicismi, anticlericalismi, ateismi. Tutt'altro. E' scuola del pluralismo di Visioni del Mondo, di Fedi, di Etiche, di Politiche e di un loro costante confronto. E' scuola non dell'appartenenza, bensì del dialogo e del confronto e, possibilmente, della scelta personale. Un modello di scuola applicabile solo alla secondaria? No, niente affatto: capace di sensibilizzare culturalmente anche all'appartenenza ma anche al dialogo con l'altro, perfino e soprattutto nell'età della scuola dell'obbligo. Con segnali di appartenenza non settari, ma efficaci, in modo da rendere partecipi di una cultura come pure sensibili ad essere inquietati e spinti al confronto dell'alterità culturale.
  3. Allora – concretamente – come va (o andrebbe) affrontata la parità? Secondo il dettato costituzionale, in primis. Secondo criteri anche di opportunità politica, tenendo conto di funzioni vicariali che tale scuola – quella privata – svolge; e trovare forme di finanziamento? Se sì, che non intacchino la Costituzione. Come gli assegni scolastici alle famiglie, che – sì – prendono quota per tale ragione di parte e di tattica politica, ma sono/possono essere in sé un bene, poiché sostengono le famiglie meno abbienti nella prosecuzione della scolarizzazione dei figli. E non è detto che, già dalle scuole elementari, si tenga ad accedere alle "mense" cattoliche. Non è detto affatto, se anche ciò si auspica che potrà arrestare il collasso delle scuole private religiose (ovvero cattoliche).
  4. Nel contempo, però, si apre un fronte ulteriore: se, sia pure indirettamente, arriverà alle scuole private un finanziamento pubblico, allora tali scuole dovranno pubblicizzarsi nei diversi aspetti (reperimento dei docenti, non-licenziabilità, libertà d'insegnamento, laicità delle prassi scolastiche e dei programmi di studio, etc.) in modo da esser legittimate ad essere – di fatto – un po' un secondo binario dell'istruzione pubblica, ma inquanto pubblica anche laica, nel senso di non-dogmatica, non-integralista, pluralista e dialogica.
  5. Sulla parità in Italia cosa potrà accadere? Al peggio, un compromesso politico, che sarà un pasticcio e un vulnus, un vulnus alla Costituzione. Al meglio, la decantazione operativa di una parità, per così dire, integrativa e parallela, coordinata dalle stesse regole, che non possono essere dettate che dallo Stato e delle quali solo lo Stato si fa interprete e garante, in nome dei diritti – e diritti formativi, autenticamente formativi – della collettività. Altre forme di parità (doppio canale; delega in bianco; modelli concorrenziali) sono solo fumus, che partendo da una feticizzazione del Mercato vedono anche la formazione vincolata a questo carro o modello quando – invece – i suoi itinera devono essere fondati sui diritti del soggetto. La formazione è, forse e preliminarmente, merce? E come tale va pensata? O è invece tutt'altro?

 

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