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L. Corradini,
Per una scuola paritaria di livello costituzionale
Di fronte all'iniziativa del Governo circa la parità
scolastica, c'è chi esulta e chi pensa che si tratti
di un tradimento del patto di convivenza tra cittadini italiani.
Si ha l'impressione che statalismo e privatismo, neoilluminismo
e neoromanticismo, varianti contemporanee degli ottocenteschi
laicismo e clericalismo, continuino a duellare nel nostro inconscio
e sui nostri giornali, come i giapponesi delle foreste, che continuavano
a credere d'essere in guerra, anche dopo che la guerra era finita.
I valori e gli interessi che si intendono perseguire e proteggere
non sono comunque di poco conto. E le mediazioni disponibili per
evitare gli effetti perversi di un'innovazione istituzionale comunque
di straordinaria complessità (convenzione, finanziamento
alle scuole pro quota alunno, finanziamento degli insegnanti,
detrazione d'imposta, buono alunno: queste le soluzioni presentate
nel ddl. Berlinguer), non sono tali da fugare del tutto le legittime
preoccupazioni di qualunque persona per bene che si occupi di
queste cose. Ma i problemi ad un certo punto vanno risolti.
L'UCIIM, nata per iniziativa di Gesualdo Nosengo nel 1943, è
composta da docenti e da presidi che in grande maggioranza insegnano
e operano in scuole statali. Ha partecipato a tutte le vicende
della scuola italiana, sostenendo principi di democraticità,
di pluralismo, di libertà di coscienza, di rispetto delle
persone, di stima per la competenza e per la verità. Ha
chiesto sempre più risorse per la scuola, cercando di qualificarne
l'impiego. Ha anche sostenuto la legittimità e la validità
di un pluralismo istituzionale, che rispettasse i principi costituzionali,
a partire dal diritto di scelta scolastica delle famiglie e dei
giovani. Presente da più di mezzo secolo nella società,
nella scuola e nella Chiesa italiane, formula, sul problema della
parità scolastica, le seguenti considerazioni.
- I Costituenti degli anni '40 trovarono, a proposito
di famiglia e scuola, articoli 29-34, un equilibrio giuridico
corrispondente alle diverse convinzioni, alle volontà e
ai timori del tempo. Non scelsero un modello criminalizzando l'altro,
come alcuni avevano fatto nell'Ottocento, ma privilegiarono l'intervento
statale. Secondo il dettato costituzionale, quella stessa Repubblica
a) che "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità" (art. 2); b) che assume il compito
di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono
il pieno sviluppo della persona umana (art. 3); c) che riconosce
i diritti della famiglia, e in particolare ai genitori il dovere
e il diritto di mantenere, istruire ed educare i figli" (artt.
29 e 30), ebbene questa stessa Repubblica "istituisce scuole".
L'espressione è forte e indica un dovere ineludibile, certo
non residuale, ma non esclusivo: tanto è vero che successivamente
analogo diritto si riconosce anche ad enti e privati, purché
ciò non gravi sul bilancio dello Stato.
I costituenti a noi contemporanei, ossia i deputati della Commissione
bilaterale presieduta dall'on Massimo D'Alema, hanno rinunciato
ad intervenire sulla prima parte della Costituzione, lasciando
alla Corte Costituzionale e al legislatore ordinario interventi
volti all'interpretazione e all'attuazione di tali norme. Non
hanno finora trovato infatti sufficiente consenso per cambiarle,
nonostante i mutati programmi elettorali di gran parte delle forze
politiche, per i veti delle minoranze "necessarie" a
fare le maggioranze.
E tuttavia la Costituzione, finora inattuata, chiede una legge
apposita per definire "i diritti e gli obblighi delle scuole
non statali che chiedono la parità".
Com'è noto, gli ostacoli principali alla parità
riguardano in ultima analisi la questione dei soldi, per ragioni
di principio e per ragioni di fatto: senza oneri chiede
la Costituzione e senza oneri chiede il magro bilancio
di uno Stato indebitato, all'indomani degli impegni contratti
per l'euro. "Dare soldi al privato" significa per molti
delitto costituzionale e saccheggio dell'erario. Alcuni liquidano
la non statale come "diplomificio" o come "dogmificio".
Ciò che non si conosce, non si utilizza, non si capisce
o non si condivide, e tuttavia incide, sia pure in modo assai
modesto, su ciò che si conosce e si utilizza, diventa un
lusso o un'aberrazione, che una polemica riacutizzata combatte
con sdegno stupefacente. Sicché il riconoscimento del diritto
di istituire e di tenere in vita, non solo per i ricchi, scuole
non statali, è di nuovo a rischio, anche dopo la decisione
del Governo di impegnare il Parlamento a risolvere il problema.
- Sembra che solo quando si tratta di scuola diventi inaccettabile
e delittuoso dar soldi al privato, anche se questo svolga un servizio
pubblico gradito a molti. Nella sanità il regime convenzionale
non è scandaloso. E le leggi che riguardano il cinema,
i giornali, i partiti politici non sono senza oneri per lo stato,
anche se si tratta di enti e privati. Si può anche notare
che, senza intervento dello Stato, molte buone scuole stanno scomparendo.
Ci si dà giustamente da fare per la salvezza della foca
monaca, per la difesa dei boschi e delle vecchie chiese diroccate
e delle ville padronali abbandonate, si vogliono legittimare forme
di unione fra omosessuali, ma si assiste impassibili o addirittura
compiaciuti alla delegittimazione e alla chiusura di scuole non
statali che hanno talora una tradizione veneranda, essendo nate
quando lo Stato non si dava ancora la pena di assicurare il diritto
all'istruzione ai suoi cittadini. Scuole che sono talora più
gradite e assai meno costose di quelle dello Stato e che, chiudendo
i battenti, determinano per lo Stato un onere reale ben
più consistente di eventuali contributi alla loro sopravvivenza.
Che il divieto costituzionale dei finanziamenti riguardi l'istituzione
e non anche la gestione delle scuole non statali (comprese
le comunali), non è furbesco cavillo, ma interpretazione
del significato letterale, per di più avanzata dallo stesso
estensore dell'emendamento, l'onorevole Epicarmo Corbino, come
risulta dagli atti della Costituente, condivisa da Mortati e da
Labriola, e soprattutto già operante in alcune convenzioni
fra regioni e scuole non statali, senza che questo ipotetico vulnus
abbia determinato di per sé lesione di diritti umani
fondamentali.
Tocca alla legge fissare i criteri che rendano una scuola "paritaria",
ossia non identica ma equipollente, per essenziali requisiti formativi,
a quelle istituite dallo Stato. Sono requisiti in virtù
dei quali si può riconoscerla "pubblica", e cioè
degna, per principi assunti e regole di comportamento adottate,
di cittadini liberi ed eguali, non identici.
Una scuola statale non in teoria, ma di fatto, può
essere meno "pubblica" di una non statale. Chi
ha fatto esperienza dell'una e dell'altra scuola, può testimoniarlo.
Da un punto di vista pedagogico ciò che importa non è
tanto la formula istitutiva (di stato o non di stato), quanto
la capacità di educare in termini sereni, obiettivi, aperti
al confronto. I diversi ideali cui s'ispirano le due formule (pluralità
per l'una, unitarietà di posizioni culturali per l'altra)
non dovrebbero impedire a ciascuna di far propri anche i valori
dell'altra, per vivere in concreto, sia pure nell'ambito della
propria vocazione, la maggiore possibile sintesi fra pluralità
e unitarietà di proposte educative.
Ci sono, nella storia, papi tiranni e imperatori filosofi, ma
più spesso principi totalitari e vescovi tolleranti. In
duemila anni diverse sono state le interpretazioni del mandato
di Pietro, che comunque non è quello d'indottrinare, men
che meno attraverso una scuola, statale o non statale che sia.
Oggi non risulta che le scuole cattoliche siano restate
ferme a certi documenti del Magistero dell'Ottocento, frutto di
un clima conflittuale superato, nel quale si sono sentite affermazioni
che esplicitamente ignoravano i diritti umani e la libertà
di coscienza. Resta il fatto che anche oggi, in qualche attardata
polemica, certi discorsi di cattolici e certi discorsi di laici
a proposito di libertà, di verità, di educazione
e di scuola sembrano tra loro incompatibili. E' nostra opinione
che si tratti di equivoci verbali piuttosto che di contraddizioni
concettuali. Singoli episodi più o meno felici, accaduti
in questa o in quella scuola, statale o non statale, non decidono
della natura di ciascuna tipologia e della sua compatibilità
con i criteri generali di una sana pedagogia.
Non sono le scuole cosiddette "di tendenza" o quelle
statali che pongono problemi eticamente insolubili: sono le persone
non cresciute abbastanza in termini culturali, spirituali, psicologici.
Nelle scuole statali e in quelle non statali.
- In sostanza il riferimento a tutta la Costituzione può
autorizzare chiavi di lettura diverse da quelle che sono prevalse
nello scorso cinquantennio, sulla base della lettura esclusiva
e "sine glossa", del "senza oneri per lo Stato".
Se le scuole, statali e non statali, sono le "formazioni
sociali ove si svolge la personalità" dei giovani,
e se queste formazioni sociali sono ritenute degne, sulla base
di parametri di equivalenza riconosciuti validi in tutta Europa,
verificati da un sistema nazionale di valutazione super partes,
non si vede perché solo da noi una percezione pregiudizialmente
negativa e uniformizzante di ciò che è religioso
e di ciò che è privato, si debba innalzare nei riguardi
di una legge della parità una sorta "non expedit"
laico, uguale e contrario a quello che fu pronunciato nel secolo
scorso verso lo Stato italiano da papi che non avevano capito
la dinamica del loro tempo.
Il "cavallo di Frisia" del "senza oneri",
messo dalla Costituzione sulla strada del legislatore, può
avere svolto anche un ruolo positivo, nel contenere una spinta
privatistica che avrebbe potuto rallentare l'impegno scolastico
della Repubblica: una repubblica che, mentre detta per tutti "norme
generali sull'istruzione", è pur sempre tenuta a "istituire
scuole di tutti gli ordini e gradi": sicché il principio
di sussidiarietà non trova a questo proposito un'applicazione
integrale, dato che l'intervento statale non è solo integrativo
e residuale, rispetto all'intervento di enti e privati, ma originario
e fondamentale.
Si era allora in epoca di ricostruzione nazionale, di valorizzazione
del patrimonio comune, di penuria di risorse. Oggi siamo in un
clima storico diverso: pensiamo lo Stato, la Chiesa, gli enti
e privati, la scuola, in un quadro di laicità, di rispetto
della diversità, di sussidiarietà e di autonomia
scolastica. Non è caduto solo il Muro di Berlino.
- Può darsi che i cattolici, difendendo da
anni un'idea che ora è sostenuta anche da taluni loro avversari
di ieri, facciano un favore ai loro avversari di oggi, che naturalmente
combattono questa idea e cercano, per quanto sta in loro, di renderla
impossibile. O può darsi che a trarre vantaggio dalla nuova
normativa siano soggetti ai quali oggi poco si pensa: dai musulmani
ai "padani", dai portatori di qualche nuovo verbo agli
affaristi più o meno camuffati dietro intenzioni educative.
Queste sono le incognite della storia e i rischi della libertà,
che vanno affrontati ad occhi aperti e contrastati con un'amministrazione
efficiente, responsabile di fronte al Parlamento.
- La questione soldi ha rilievo non solo ideologico, ma anche
finanziario. E' curioso che alcuni chiedano, come eventuale contropartita
per un contributo alle scuole paritarie, la gratuità per
le scuole statali: una specie di risarcimento finanziario per
il danno morale subito: il che comporterebbe un doppio aggravio
per l'erario.
Una norma risolutrice dell'annoso problema deve prevedere, come
chiede la Risoluzione 14-3-1984 del Parlamento europeo, che lo
Stato accordi alle scuole "le sovvenzioni pubbliche necessarie
allo svolgimento dei loro compiti e all'adempimento dei loro obblighi,
in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti
pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli
organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale".
Se però si tiene presente il fatto che la scuola è
un bene primario, i cui costi nessuno stato riesce integralmente
a pagare, è ragionevole pensare che i contributi alla non
statale paritaria siano graduali, come graduale dev'essere l'aumento
dei contributi scolastici a carico chi frequenta la statale, essendo
garantite solo ai "capaci e meritevoli sprovvisti di mezzi"
"borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze".
L'equità non sarebbe discriminatoria su base ideologica,
ma perequativa sulla base della "rimozione degli ostacoli
di ordine economico e sociale" di cui all'art.3 della Costituzione.
E si salverebbero l'erario e i diritti delle generazioni future.
La strada del contributo ai giovani che frequentano scuole non
statali, in difesa del diritto allo studio, non va incontro ad
alcuna obiezione di carattere costituzionale. Al contrario anticostituzionale
è riservare loro "un trattamento scolastico non
equipollente a quello degli alunni di scuole statali"
In conclusione per la questione della parità si tratta
di adottare un approccio non solo giuridico, ma storico, comparativo,
pedagogico, in certo senso una logica "visionaria",
come si è detto in Parlamento, non una logica pattizia,
in cui una parte dà una cosa all'altra o a una fetta di
elettorato, per tacitarne gli interessi. La logica "visionaria"
è quella in cui tutti possiamo trovarci, se si fa uno sforzo
culturale e psicologico per innalzarci al di sopra della mischia,
e per cercare insieme di correggere le distorsioni che, qualunque
soluzione si adotti, inevitabilmente si verificheranno nel passaggio
alla realtà del quotidiano.
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