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NOTA SUL PROBLEMA DELLA PARITA' SCOLASTICA
Comunicazione del Cardinale Arcivescovo Carlo Maria Martini tenuta al Consiglio presbiteriale della Diocesi di Milano
Il tema della scuola cattolica ha fatto notizia nelle ultime settimane,
sia a partire da interventi del Papa o della CEI, sia a causa
di varie agitazioni e proteste di studenti, qualcuna delle quali
ha preso di mira anche le scuole cattoliche della città.
L'opinione pubblica appare divisa. Anche tra i cattolici esistono
differenze e reticenze. Ciò dipende anche in parte da esperienze
soggettive, ossia dal ricordo che ciascuno ha della sua personale
esperienza scolastica, come alunno e anche come docente, nella
scuola statale o cattolica. Dipende pure da frasi ripetute, come
l'affermazione che la scuola cattolica è "scuola dei
ricchi" e quindi "scuola di classe", come dal fatto
che talora viene scelta non perché "cattolica"
ma per altri motivi, come la qualità dell'insegnamento,
la regolarità e la disciplina ecc.
La divisione dell'opinione pubblica, inoltre, è acuita
dal modo - non sempre esente da superficialità e faziosità
- con cui i mezzi di comunicazione trattano l'argomento.
Di fronte a tale situazione è importante cercare di avere
le idee chiare e di rimanere obiettivi.
In questa linea è opportuno ricordare quanto il Papa ha
affermato lo scorso 27 novembre, parlando ai partecipanti alla
32.a Assemblea Nazionale della FIDAE: "Il sistema pubblico
integrato dell'istruzione è condizione indispensabile
perché l'istituzione scolastica sia strumento moderno ed
efficace di formazione e fattore di progresso per l'intera società".
E ancora: "La scuola cattolica ha davanti a sé una
grande sfida, alla quale dovrà rispondere con un progetto
educativo fortemente caratterizzato in senso cristiano, cercando
poi di attuarlo in piena collaborazione con la famiglia
Facendo leva soprattutto sulla competenza e sulla testimonianza
degli insegnanti, la scuola cattolica si propone di offrire ai
giovani una formazione di qualità, poggiante sull'acquisizione
delle conoscenze necessarie e sull'apprezzamento di quanto l'uomo
ha realizzato nel corso della storia, ma soprattutto nell'adesione
matura e convinta ai grandi valori della tradizione italiana e
della fede cristiana".
Partendo da queste parole, che richiamano un magistero lungo
e ininterrotto, basato a sua volta sulla dottrina tradizionale
in materia e sul Concilio Vaticano II, vorrei fare cinque affermazioni.
- Anzitutto bisogna riconoscere chiaramente che il problema
della parità scolastica non è che un aspetto
particolare, quantitativamente non eccessivamente rilevante,
dell'immenso problema della scuola. Quello della
scuola è un problema nazionale, che sta a cuore ai cittadini,
alle famiglie, alla società, alla Chiesa. Nell'articolo
che ho pubblicato su Il Corriere della Sera il 5 luglio
scorso dal titolo Scuola, tesoro da salvare scrivevo: "La
scuola costituisce una risorsa prioritaria della Nazione. La qualità
della scuola è specchio della maturità del Paese.
E' perciò di fondamentale importanza che su tutto prevalga
l'oggettiva considerazione del vero, concreto, integrale bene
del soggetto cui è finalizzato il servizio scolastico,
cioè la persona dell'allievo". E continuavo richiamando
tre binomi centrali: il binomio scuola - persona, quello scuola
- cultura (con il necessario riferimento alla cultura religiosa)
e quello scuola - lavoro.
Ne deriva che, quando la Chiesa parla della scuola, deve sempre
far intendere anzitutto la sua preoccupazione fondamentale per
tutta la scuola statale, da sostenere nel suo impegno di custodire
e sviluppare, elaborare e trasmettere alle nuove generazioni il
patrimonio di conoscenza e di sapienza di cui vive e va fiera
una comunità.
E' un impegno che richiede, dunque, tutte le energie di una
nazione, e a cui la Chiesa, come esperta di umanità, può
e vuole collaborare con dedizione. E' solo in questo contesto
che si pone il problema della parità tra scuole
statali e scuole non statali8 e dei modi del sostegno economico
a queste ultime.
Di questo contesto fa parte anche il problema più generale
dell'autonomia scolastica, che si sta introducendo nella
scuola italiana. Anche se si può comprendere che vi sia
qualche timore per novità indubbiamente forti e non prive
di complessità, occorre tuttavia invitare tutti a uno sforzo
coraggioso di rinnovamento. Tra le novità forti v'è
a esempio la nuova figura del preside con ampi poteri. Tra le
complessità vi sono operazioni amministrative non indolori,
come il dimensionamento delle istituzioni scolastiche e la loro
distribuzione nel territorio. Esse non andranno colte semplicemente
come occasione per segnalare le attese di gruppi e di corporazioni
al fine di ottenere un servizio scolastico vicino e adeguato a
soddisfare le loro esigenze. Occorre che si abbia presente innanzitutto
la necessità di valorizzare l'intera opera educativa e
culturale che la scuola può offrire a tutta la collettività,
mettendo i criteri quantitativi ed economici al servizio dell'obiettivo
didattico, educativo e culturale. Le operazioni amministrative
degli enti preposti a tali difficili scelte sono dunque da cogliere
come opportunità per la condivisione di significati e valori
comuni, per provvedere alle risorse necessarie a sostenere l'azione
di chi opera nella scuola, al fine di creare migliori condizioni
per l'elevazione morale e sociale della società, così
che la scuola stessa diventi luogo di incontro e di dialogo tra
comuni prospettive educative, culturali e religiose.
Dunque alla chiesa sta a cuore la causa di tutta
la scuola italiana ed essa si sente vicina ai suoi sforzi di rinnovamento.
- Quanto appena detto permetterebbe certamente una discussione
obiettiva sul tema della parità scolastica. E, invece,
oggi assistiamo spesso a un esacerbarsi degli animi, a un crescendo
di pregiudizi contro la scuola cattolica e una sorta di spontanea
e insuperabile avversione verso ogni proposta di provvedimenti
tesi a sostenere anche le scuole pubbliche non statali.
Se ci chiediamo come mai tutto ciò accada, mi
pare si debba sottolineare come - nel problema della " scuola
libera "o "scuola pubblica non statale " (espressioni
che dicono già un certo modo di impostare la questione,
diverso da quello soggiacente alle espressioni " scuola confessionale
") e in particolare nel problema della parità scolastica
e dei modi con cui può essere finanziata la scuola pubblica
statale - si scontrino soltanto argomentazioni di ordine pragmatico
(come quelle connesse con il reperimento delle risorse ), ma anche
visioni diverse della società, molto radicate negli
animi, alcune quasi incrostate almeno da oltre un secolo, da quando
cioè in Italia lo Stato ha assunto praticamente il monopolio
del sistema scolastico.
A tale proposito, credo che si esercitino il loro influsso
almeno tre antitesi non risolte nella coscienza
pubblica.
* L'antitesi tra una concezione statalistica, per
la quale allo Stato spetta fare le scuole in prima persona e direttamente,
e un principio di sussidiarietà per cui allo Stato
spetta provvedere che ci sia la scuola per tutti, o facendola
direttamente o aiutando coloro che, con le debite condizioni,
la fanno.
C'è chi ritiene che la Costituzione non ammetta
un principio di sussidiarietà per quanto riguarda la scuola.
In realtà, la Costituzione, all'articolo 33, fa obbligo
allo Stato di dettare "le norme generali sull'istruzione"
e di istituire "scuole statali per tutti gli ordini e gradi"
ma non consacra affatto un monopolio scolastico: essa anzi, pur
con la famosa clausola "senza oneri per lo Stato" ,
riconosce agli enti privati "il diritto di istituire scuole
ed istituti di educazione".
* L'antitesi tra una visione rigidamente laicistica
e una visione pluralistica, che si oppongono nel caso
specifico della scuola, in quanto una visione laicistica ritiene
preferibile una educazione rigorosamente laica per tutti e soltanto
tollera una educazione confessionale; quella pluralistica, invece,
ritiene che in uno Stato moderno sia preferibile una pluralità
di itinerari educativi, purché siano rispettosi dei diritti
umani, stiano nell'ambito della legge e forniscano una educazione
di qualità. Quest'ultima, la pluralistica, è la
soluzione di gran parte dei paesi democratici oggi, dove lo Stato,
in diverse forme, sostiene ogni tipo di curriculum formativo che
corrisponda a determinati standard (così ad esempio in
Francia, Belgio, Austria, Inghilterra, Australia ecc.)
* Mi pare, infine, che nello sfondo di alcuni interventi particolarmente
polemici contro la scuola cattolica vi sia anche in certi casi
l'antitesi tra una visione non religiosa e una visione
religiosa dell'esistenza. Quella non religiosa (non necessariamente
antireligiosa) ritiene che la religione in genere, non solo il
cristianesimo, non abbia se non un rilievo marginale nella vita
e che, quindi, non possa essere rilevante in un progetto scolastico.
Quella religiosa ritiene che sia possibile e desiderabile impostare,
per chi lo desidera, una scuola in cui, come dice il Papa, vi
sia "un progetto educativo fortemente caratterizzato in senso
cristiano" , attuato "in piena collaborazione con la
famiglia".
Alcuni poi (anche tra i cattolici) temono che un sistema scolastico
integrato si risolva di fatto in una promozione esponenziale delle
scuole private sul territorio a scapito di quelle statali. Ma
è chiaro che così non accadrà, considerando,
da una parte, che le scuole non statali non riceveranno mai i
sussidi previsti per quelle statali, e tenendo conto dall'altra
dell'esperienza dei paesi sopra menzionati, dove vige un sistema
integrato senza che si producano squilibri.
Altri poi partono nelle loro affermazioni da situazioni concrete
di scuole non statali che appaiono di fatto elitarie: ma occorre
considerare che l'attuale situazione è il risultato della
pratica emarginazione della scuola non statale e del suo bisogno
di sostenersi unicamente con contributi privati. In un regime
di parità la scuola non statale è destinata ad aprirsi
a tutti gli alunni meritevoli e alle scelte delle famiglie motivate
a preferire un bel preciso programma formativo.
- Da visioni diverse nascono anche interpretazioni differenti
della Costituzione. Per quanto riguarda la non concessione
di alcun sostegno economico pubblico alle scuole pubbliche non
statali la concezione statalistica fa leva sull'inciso "senza
oneri per lo Stato" dell'art. 33, interpretandolo in senso
molto rigido. Per una visione pluralistica, invece, il sostenere
in qualche modo anche le scuole pubbliche non statali è
nell'interesse dello Stato, anzi, come dice il Papa "è
condizione indispensabile perché l'istituzione scolastica
sia fattore di progresso per l'intera società". Ciò,
tra l'altro, è mostrato dall'esperienza degli Stati sopra
citati, che hanno un sistema scolastico integrato valutato ordinariamente
come superiore al nostro.
Tutto ciò che si è detto fin ora sulla situazione
italiana permette anche di comprendere come mai, per 50 anni di
maggioranza relativamente democristiana, non si abbia mai avuto
il coraggio di risolvere il problema.
Eppure sarebbe bastato interrogare i costituenti, come il Prof.
Lazzati, che alcuni anni fa dichiarò espressamente: "Sono
un testimone oculare di quello che è avvenuto alla Costituente;
ho in mente perfettamente come Corbino, liberale di sinistra,
si alzò a proporre l'emendamento "senza oneri per
lo Stato". Corbino e Codignola sottolinearono che con l'emendamento
si voleva solo dire che non per il fatto di nascere una scuola
ha il diritto d'essere sovvenzionata dallo Stato, perché
se una scuola è mal fatta, non funziona, funziona male,
se la scuola non ha una sua utenza, il diritto a sovvenzioni statali
può anche non essere riconosciuto. Ma dal momento in cui
quella scuola risponde a una necessità, e tale necessità
è documentata dal fatto che c'è una parte, magari
notevole, di cittadini che ambiscono d'essere in quella scuola,
lo Stato ha il dovere di sostenerla, se vuole rispettare quello
che ha garantito nel secondo articolo: la pluralità delle
formazioni sociali".
- Oggi, volenti o nolenti, pur tra errori e ritardi, il problema
della parità scolastica e delle sue conseguenze è
al centro dell'attenzione, è più maturo di quanto
non lo fosse venti o trent'anni fa. A questo punto non è
più di fatto neppure rinviabile. Se non lo si risolve
adeguatamente, si andrebbe incontro, nei prossimi anni, alla chiusura
progressiva della maggioranza delle scuole non statali, comprese
quelle cattoliche, per il crescere non più sopportabile
delle spese di gestione. Ne seguirebbe che, fra qualche tempo
- proprio per il venire meno di ogni possibile alternativa sul
territorio - non avrà più neppure senso porre il
problema della parità e del superamento di un monopolio
statale. Questo spiega la non rinviabilità della questione.
Ma è ovvio che tutto ciò porti a un confronto più
acceso e serrato. Occorre perciò vigilare perché
non si scada nell'intolleranza. Vigilare affinché
coloro che fanno, di tale questione, una bandiera laicistica non
si lascino prendere da tentazioni di violenza. E vigilare anche
perché quanti ritengono loro dovere esporre la visione
pluralistica, lo facciano nei debiti modi, dialogando così
da convincere e non con modi che provocano reazioni controproducenti.
- I cattolici hanno dunque il diritto sia di ritenere come migliore,
più consona a una società democratica e più
utile alla Nazione una visione fondata sul principio di sussidiarietà
e pluralistica, una visione che si esprime in un sistema scolastico
integrato, sia di promuovere tale visione con tutti i mezzi culturali,
sociali e politici a loro disposizione. Il promuovere tale visione
va sentito e vissuto come un servizio all'intera società.
Tale servizio, naturalmente, va svolto nel quadro di un dialogo
democratico e tenendo presente che questo non è che un
aspetto parziale del più generale problema scolastico nazionale.
La non rinviabilità della questione della parità
e del sostegno economico spiega allora certe insistenze della
Chiesa. A taluni può sembrare che la Chiesa chieda l'elemosina
allo Stato. Tuttavia, proprio alla luce di quanto si è
detto, non è così. La Chiesa, col suo agire, difende
una concezione pluralistica dello Stato, fondata sul principio
di sussidiarietà. Tale concezione sarebbe ferita se prevalesse,
di fatto, un monopolio assoluto dello Stato in campo scolastico.
Se la scuola cattolica sarà costretta a chiudere, ne scapiteranno
quei principi democratici che sono meglio promossi in un sistema
integrato, come mostra l'esempio di tanti paesi europei.
Qualcuno tra i cattolici si chiede tuttavia se - di fronte al
prevalere delle obiezioni statalistiche, soprattutto quelle che
nascono da persone che non accetteranno mai le ragioni sopra esposte
- non sia meglio che la Chiesa, per salvare il primato dell'evangelizzazione
e per evitare di essere mal compresa, accetti piuttosto di lasciar
cadere a poco a poco le proprie scuole per dedicarsi con più
impegno ad altri campi educativi e ad altri modi di presenza nella
società. La Chiesa lo ha già fatto, quando vi è
stata costretta, a esempio nei paesi dell'est europeo, dove tutte
le sue scuole furono chiuse d'autorità e la Chiesa trovò
in qualche modo altri strumenti educativi e forme più nascoste
di presenza. Il Papa e i Vescovi non ritengono però che
sia l'ipotesi da accettare qui da noi nelle circostanze presenti.
Vale la pena di affrontare anche delle incomprensioni per
una causa giusta e urgente, che è per il bene di tutti.
Occorrerà, in ogni caso, mantenere un atteggiamento dialogante,
non rispondere con provocazioni, essere cauti e prudenti, accettare
magari qualche gradualità nelle soluzioni. Comunque mi
sembra importante salvare i principi, rimanere sul terreno della
concretezza e non lasciarsi confondere da obiezioni e timori.
1 dicembre 1998
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