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TESTATA RIVISTA


    F. Frabboni,  La sfida è sulla qualità e pluralità della cultura scolastica

  1. L'anno da poco tramontato (il 1998), ha fatto a lungo rullare i tam tam della Grande Riforma della scuola italiana, che porta il nome del Ministro Berlinguer.
    Ci sembra difficile non condividere (se non negando l'evidenza) questi apprezzamenti preliminari: il Progetto berlingueriano esprime la volontà - politica e culturale - di un cambiamento complessivo del sistema scolastico nel segno dell'"unitarietà" e della "modernità".
    Il disegno unitario della riforma trova forma e concretezza nell'ingegneria istituzionale di un ponte scolastico a tre navate "sessennali": 0-6 (scuola dell'infanzia), 6-12 (ciclo primario), 12-18 (ciclo secondario). Inoltre il percorso dell'obbligo è finalmente decennale, posto tra i 5 e i 15 anni dell'allievo.
    Il disegno modernista della riforma configura l'intenzione di dare risposte e soluzioni nuove (in sintonia con una società in-transizione sul terzo millennio) ai nodi/binomi, storicamente irrisolti, della scuola del nostro Paese: "centro-periferia", nel nome della scuola dell'autonomia; "scuola-extrascuola", nel nome di un sistema formativo integrato; "scuola-lavoro", nel nome di una scuola dell'orientamento; "educazione-istruzione", nel nome dei saperi trasversali; "pubblico-privato", nel nome delle scuole pubbliche paritarie.
  2.   È su quest'ultimo nodo/binomio che i tamburi del novantotto (della convegnistica scolastica, come dei mass-media), hanno fatto risuonare antiche, arroventate, intolleranti arringhe ideologiche: vuoi da parte della componente fondamentalista della cultura cattolica (questa la tesi: la scuola privata è emblema di libertà, quindi va finanziata senza alcun vincolo/controllo da parte dello Stato), vuoi da parte della componente radicale della cultura laica (questa la tesi: la scuola privata è libera di nascere, ma senza alcun onere da parte dello Stato).
    Su questo imponente e rituale tiro alla fune cinquantennale tra i "falchi" di questa duplice frontiera culturale e valoriale del nostro Paese, ci sembra ineludibile proporre una riconsiderazione e un'attualizzazione - a partire dagli odierni scenari del sistema formativo e dalle linee di tendenza dei paesi della Comunità europea - degli aspetti istituzionali, culturali e pedagogici del binomio ("nodo" storico) scuola pubblica-scuola privata, nella prospettiva di una nuova frontiera del principio di formazione pubblica.
    Questo lo scenario che giustifica il new deal del concetto di formazione pubblica. Lo scenario contiene un'immagine-identità/altra del sistema formativo. Un'educazione-istruzione non più rintracciabile (e rinchiusa) soltanto dentro la scuola, come risultava agli occhi del Costituente mezzo secolo fa quando per le giovani generazioni la scuola fungeva da unica centrale di trasmissione-rielaborazione dei "saperi" e della cultura (in quel contesto storico, il pluralismo culturale poteva essere soltanto nella scuola dello Stato: uguale pubblica). In questa nostra stagione di fine millennio, il paesaggio formativo è profondamente mutato facendosi policentrico (non solo la scuola, ma anche altre agenzie pubbliche e private erogano offerte-opportunità formative) e pluriculturale (per via della molteplicità dei linguaggi, delle antropologie, delle fedi). Con il risultato che la scuola - lo si voglia o no - non costituisce più l'unica banca di capitalizzazione e di erogazione delle conoscenze, ma solamente (a patto di difenderne con i denti la qualità della sua istruzione) il punto-sole di un sistema copernicano del "formativo" che ha, in rete, una molteplicità di pianeti carichi di saperi e di cultura. Più che l'agiografico assioma della scuola statale quale unica sede garante del pluralismo culturale (visione veterostatalista), l'odierno prisma complesso della formazione pubblica - in una società che sta per varcare i cancelli del terzo millennio - non può accoglierne le logiche dell'esclusione, ma piuttosto le linee dell'integrazione delle agenzie formative impegnate a realizzare l'equazione (possibile?) qualità dell'istruzione-diritto allo studio (di entrata e di uscita) per tutti gli allievi dell'odierna scolarizzazione di massa.
  3. Questo paesaggio - che fa da "quinta", a nostro parere, alla scenografia di un sistema formativo che sta congedandosi dal ventesimo secolo - espone, dunque, dei nitidi colori pedagogici: colori che sono nel nome e nel segno del binomio qualità dell'istruzione (possibile una scuola antidogmatica) - diritto allo studio (possibile in una scuola che non discrimina l'utenza). Dunque, un sistema scolastico comprensivo delle scuole statali, degli enti locali e autonome, chiede il primato del pedagogico. Cioè a dire, quella prospettiva formativa che pone al "centro" la qualità della cultura (condizione imprescindibile per potere pensare con la propria testa) e il diritto di tutti all'istruzione (condizione imprescindibile per una scuola che intende educare i valori democratici).
    Il binomio pedagogico qualità-diritto, se calato nell'Intesa tra lo Stato e la scuola autonoma (non solo cattolica, ma di tutte le fedi religiose e del volontariato laico), può risolvere la sua difficile equazione solamente in una norma quadro di convenzione nazionale tra scuole pubbliche e scuole pubbliche paritarie. Una Legge quadro generale che sia garante (nel rispetto del principio di autonomia del federalismo scolastico) di un paritario modello organizzativo (standards edilizi, calendario scolastico, monte-ore settimanale, numero degli allievi per classe, inserimento degli handicappati, partecipazione/gestione democratica, reclutamento-stato giuridico-formazione degli insegnanti) e modello curricolare (programmi nazionali, orientamento, individualizzazione, crediti didattici e formativi e valutazione).

     

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