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TESTATA RIVISTA


    G. Genovesi,  Scuola pubblica/Scuola privata: alcune riflessioni

     Nell'ultimo numero de "L'Espresso", Eco prospetta ironicamente uno scenario in cui, modificato l'art. 33 della Costituzione, lo Stato si è liberato dal carico della scuola pubblica sovvenzionando le scuole private e ogni famiglia può iscrivere gratuitamente i figli alla scuola meglio rispondente al proprio ideale educativo. In breve tempo il caos formativo è tale che lo stesso papa, "Camillo Benso I (già cardinale Biffi)", chiede energicamente allo Stato di assumere le sue responsabilità promuovendo una istruzione pubblica unificata.
     A parte l'improbabile "grido di dolore" pontificio, credo che le conclusioni siano azzeccate. Date certe premesse ne derivano certe conseguenze. Uno Stato che disattende le sue strutture portanti è destinato allo sfascio. Esso si regge solo se ha cura dei suoi settori portanti, tra cui la scuola. Non si tratta di concepire una scuola di Stato, ma di fissare dei parametri generali che garantiscano la non contravvenzione dell'autonomia della scuola e dei principi fondamentali dello Stato. Le regole sono necessarie dato che è impossibile accettare che ciascuno possa istituire, con il diritto di finanziamenti dello Stato, scuole a proprio piacimento, magari in contrasto con gli interessi di tutta la società. Se queste regole e garanzie non vi sono, bisogna introdurle. Altro che abolire o modificare l'art. 33 della Costituzione! Il problema è tutt'altro. Sta soprattutto nel fatto che a nessuno deve essere permesso, con i soldi di tutti, di istituire scuole ad uso di una parte. Ciò non significa che i privati non possano istituire scuole, ma che chi intende farlo deve rispettare le regole concordate dalla comunità. Prime fra tutte quelle della non discriminazione degli utenti (allievi) e degli operatori (insegnanti). Dopodiché si diano pure sovvenzioni alla scuola privata, purché ciò non sia un mezzo per favorire la surroga di quanto è impegno e compito primario dello Stato fare: finanziare, controllare e garantire una scuola che, come tale, è a vantaggio di tutta una comunità.
     La scuola ha finalità precise di affidamento delle strategie intellettuali. Di altro la scuola non deve occuparsi. Il modo con cui se ne occupa dipende dalle ideologie e dalle capacità dei docenti che, selezionabili per competenze professionali, non possono esserlo per le ideologie. Queste ultime sono le griglie attraverso cui ogni docente argomenta in modi logicamente difendibili la sua disciplina. Non insegna valori, ma discipline, anche se attraverso e per tale insegnamento si ispira a dei valori e li addita a modello non assoluto ma costantemente relativizzabile proprio in forza della carica critica che avrà saputo infondere insegnando la sua disciplina. Questo deve fare la scuola per essere portatrice di valori di umanità, in quanto razionalità e, quindi, al tempo stesso, pluralismo. Sono, pertanto, da respingere le scempiaggini di coloro che "piangono miseria" in nome di una libertà e di un pluralismo traditi per cercare di imporre la iattura di una scuola come servizio. Servizio di chi? Dello Stato, delle famiglie, dei cittadini? La scuola non deve essere a servizio di nessuno, ma solo di se stessa perché solo così può essere funzionale alla formazione dell'uomo (né del cittadino, né del cristiano, né del maomettano, ecc., che sono solo degli accidenti) che sentirà sia il dovere di scegliere, sia di assumersi la responsabilità delle sue scelte, avendo avuto i mezzi logici per analizzare il problema da risolvere.
     D'altronde, quella scelta, in quanto derivante da un'argomentazione logica, si impone come necessaria. In questa prospettiva, libertà e necessità inevitabilmente coincidono. E' quanto esalta la scuola con il suo insegnamento a tutti di ciò che è razionalmente "diffondibile". Altrimenti non è la scuola. Essa è una struttura portante dello Stato, ma non è scuola di Stato. Lo Stato deve solo (e non è certo poco!) garantirla nella sua autonomia, e quindi nella sua laicità (che non è, come rileva Magris ("Corriere della Sera", 6.12.98), "un contenuto filosofico, bensì un abito mentale, la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che invece è oggetto di fede"), perché non diventi servizio di qualcuno.
     Nessun privato può mettere le mani sulla scuola per piegarla al suo servizio, pena il non avere più la scuola.

 

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