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TESTATA RIVISTA


    L. Smeriglio,  La parità scolastica

     I recenti dibattiti, sovente semplici diatribe, hanno sostanzialmente isterilito la "questione" parità scolastica a pura "faccenda" economica: finanziare, o meno, la scuola non statale, o, come la si chiamava prima, la scuola privata. Sul principio costituzionale del diritto alla libera scelta dell'indirizzo educativo, ma sulla base dello stesso dettato che nega l'intervento finanziario dello Stato a favore della scuola non statale, si stanno intrecciando dibattiti che, da una parte e dall'altra, hanno indubbiamente un'anima di verità. Sia pure a volte con argomentare di parte, o addirittura facinoroso, si dichiara che senza la garanzia dell'intervento economico dello Stato, in forme e modalità diverse, non verrebbe assolutamente garantito il diritto del cittadino a scegliere la scuola che ritiene confacente alle proprie aspettative educative, caricandosi l'onere finanziario esclusivamente sulle famiglie degli alunni. Ciò favorirebbe esclusivamente i più abbienti, e verrebbe così a negare di fatto il godimento del principio costituzionale della libera scelta dell'indirizzo educativo.
     Dall'altra parte, e non a torto, si obietta che la scuola di Stato versa in gravi condizioni edilizie e strutturali per l'inadeguatezza dell'impegno finanziario dello Stato. Essa non riesce a garantire un insegnamento qualificato e moderno, non fornisce agli insegnanti quelle condizioni materiali e culturali che ne esaltino la motivazione all'insegnamento, non tutelando così la dignità istituzionale di una scuola che pretende ergersi ad unica espressione dell'impegno educativo della nazione.
     Da qui la più concreta, ma anche la più semplicistica affermazione: i soldi che vorreste assegnare alla scuola privata, che ha una sua utenza disponibile a caricarsi dell'onere finanziario necessario al suo mantenimento, dateli alla scuola statale, consentendone così il miglioramento, la maggiore qualificazione didattica e culturale. La scuola privata o non statale, rimarrebbe così un optional per i cittadini che possono permettersela. Mentre quella statale sarebbe in grado di dare risposte altamente positive alle varie domande e ai diversi bisogni che provengono dalla società.
     Sembrerebbe, quello che ho fin qui sintetizzato, un discorso squisitamente tecnico-economico, da affidarsi, nell'immediato e nel prossimo futuro, ad una saggia e avveduta politica dell'istruzione che potrebbe rispondere gradatamente alle opposte ma giustificate argomentazioni. Banalmente, più risorse economiche per la scuola, di modo che si migliori quella di Stato e si sovvenzioni la scuola non statale, alla quale peraltro, e giustamente, occorre riconoscere la funzione di alleggerimento dell'onere finanziario dello Stato. Facile e ragionevole soluzione ma ... mancano i soldi!
     A ben guardare, però, chi sa della storia di opposizione ideologica e interessata che ha contraddistinto in un non lontano passato, il "conflitto", a volte esasperato, tra "mondo laico" e "mondo cattolico", sa bene che i motivi di tale opposizione non risiedono tanto e soltanto nelle argomentazioni che ho sinteticamente esposto, quanto piuttosto nella diversità sostanziale tra chi ritiene che la scuola privata (statisticamente maggiormente gestita dal mondo cattolico, e, quindi, come si dice oggi "scuola di tendenza", cioè con finalità anche di formazione ideologico-religiosa), deve essere contrastata dalla scuola di Stato, garanzia di una "educazione laica", identificata come educazione non dogmatica, libera da pregiudizi di qualsiasi natura e origine, conforme, per ciò stesso, alla formazione di una mentalità critica ed esente da presupposti dottrinali. Una scuola di Stato, perciò, asettica rispetto ad ogni forma di ideologia e di prevaricazione dottrinale.
     La lotta alla scuola privata, quindi, in effetti è stata una lotta alla scuola cattolica, che ha trovato recentemente le sue giustificazioni nel diritto al rispetto della libertà di religione, fino al punto di far cassare dai programmi della scuola elementare quel principio della "religione fondamento e coronamento di tutto l'insegnamento" che esprimeva, come notava allora G. Catalfamo, non una prevaricazione della religione cattolica su tutte le altre e sulla configurazione del fine supremo dell'educazione, bensì la traduzione in termini istituzionali del dato statistico della generale condizione di adesione al cattolicesimo della cittadinanza italiana (almeno allora).
     Sostenere la scuola di Stato, ed il suo preteso laicismo, significò allora (e forse ancor oggi) tutelare la formazione delle nuove generazioni da ogni forma di addottrinamento, salvaguardarle da qualsiasi condizionamento ideologico e religioso, costituendo l'esperienza scolastica fonte primaria per lo sviluppo della personalità.
     Così, i cosiddetti "laicisti" mettevano tra parentesi, commettendo un grave errore storico, l'enorme ruolo che la Chiesa ebbe, in tutte le epoche, nel curare l'istruzione dei ragazzi e dei giovani, anche di quelli appartenenti alle classi sociali meno abbienti o del tutto prive della possibilità di garantirsi istruzione e formazione, anche lavorativa. Uno sguardo retrospettivo al ruolo dei vari ordini religiosi nel campo dell'istruzione e della formazione dovrebbe farci più cauti nel trinciare giudizi e valutazioni.
     La Chiesa, istituzionalmente deve, ovviamente, guardare al fine supremo della vita umana, ma ciò non significa che gli insegnamenti che da essa promanano siano caratterizzati da dogmatismo e prevaricazione dottrinale. Del resto, già S. Tommaso ci ha insegnato come la fede non esclude la razionalità, anzi può essere a sostegno della stessa fede. Ma anche ai giorni nostri, scienza e cultura non si contrappongono alla religione, ma costituiscono vie diverse per conoscere la realtà che, per chi crede, ha una dimensione che va oltre i confini dell'umano sapere.
     Detto questo, e non si può in questa sede andare oltre, come la poniamo col problema della parità scolastica? Col principio costituzionale della libertà d'insegnamento? Col diritto-dovere dei genitori di poter scegliere liberamente (e quindi senza ostacoli di natura economica) la scuola che risponde meglio alle proprie convinzioni educative?
     Se la questione è veramente ed esclusivamente di natura economica, la risposta non può non essere che di politica economica: aumentare la spesa per la scuola statale e sostenere economicamente (magari gradatamente) la scuola non statale, a condizione, però, che quest'ultima possegga veramente requisiti di serietà e di qualificazione sia sul piano dell'organizzazione didattica, che su quello della scelta dei docenti. Costoro, pur rispettando l'ispirazione di fondo della scuola ove intendono insegnare, non dovrebbero considerarsi dogmatici apostoli di un messaggio, laico o cattolico che sia, che contraddica il senso più profondo della funzione educativa: aiutare lo sviluppo delle nuove generazioni verso le molteplici direzioni in cui si esprime veramente lo spirito umano.
     Proposta, questa indicata, complessa e di difficile realizzazione, ma certamente possibile se si mettono da parte antiche preclusioni e nuovi dogmi; soprattutto se si tende veramente a realizzare una reale integrazione di tutte le potenzialità educative della nostra società.

 

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