Giancarmine
CAPUTO
Salerno

L'INVERSO DELLE COSE


A sinistra e a destra la giusta distanza delle ruote anteriori dalle due strisce bianche laterali che delimitavano il parcheggio: circa 15 centimetri. Un leggero colpo al pedale dell'acceleratore e l'automobile entrò nel posto ad essa riservato, fermandosi ad una giusta distanza dal muro frontale. Era tutto a posto.
Liborio diede un ultimo colpo d'acceleratore, per permettere l'ultima carica alla batteria, ed estrasse successivamente la chiave dalla macchina. Scese dalla macchina, lo sportello ancora aperto, ed osservò compiacendosi l'impeccabile manovra: aveva lasciato la giusta distanza tra l'adiacente automobile a destra e l'eventuale macchina che avrebbero parcheggiato a sinistra della sua. Tale compostezza rendeva Liborio in pace con sé stesso e con il mondo, immaginava che tutti l'osservassero ed apprezzassero questo suo onorabile e rispettoso buon senso.
Certo, la manovra poteva essere migliore: la ruota anteriore sinistra, con una leggera angolazione volgeva un po' verso la striscia. L'avrebbe lasciata così ma, memore dei consigli del suo meccanico, era necessario raddrizzarla al fine di evitare la corrosione dei manicotti di gomma. Liborio era molto rispettoso non solo nei confronti dei suoi simili, ma anche nei confronti dei suoi oggetti; non avrebbe permesso mai che qualche suo oggetto stesse inutilmente sotto sforzo.
Rientrò nella macchina, riaccese il motore e spostò la macchina prima un po' indietro e poi in avanti raddrizzando le ruote motrici, passaggio questo necessario per evitare, meccanico docet, il logorio degli ingranaggi dello sterzo. Prese il giornale e, accertandosi che tutte le luci fossero spente, scese dalla macchina per poi chiuderla. Con il giornale sotto il braccio si diresse verso il portone di casa.
Il giornale l'aveva già letto o, almeno, aveva già letto ciò che gli interessava in quei pochi minuti che la pausa dal lavoro gli offriva: uno sguardo a tutti i titoli, una lettura ai cappelli degli articoli più interessanti e curiosi, una lettura integrale a quei pochi articoli che valevano la pena. Tutti i giorni portava il giornale a casa pur sapendo che né lui né chiunque altro l'avrebbe letto e che sicuramente l'avrebbe riportato giù chiuso in una busta dei rifiuti il giorno successivo. Ripeteva con fideismo ogni giorno tale azione pur conoscendone l'inutilità.

Mentre camminava osservò con sguardo di disappunto una macchina, parcheggiata poco lontana dalla sua, che non aveva rispettato le strisce, addirittura una striscia fuoriusciva da sotto la macchina tagliandola idealmente in due. Parcheggiata in tal modo la macchina occupava arrogantemente il posto di due. Non era certo una pessima manovra ma prepotenza, strafottenza pensava esattamente Liborio, storcendo le labbra e meditando un'eventuale giustizia sommaria ed educativa che avrebbe potuto compiere sulla vernice della macchina, ma che non avrebbe sicuramente fatto.
Queste erano quelle piccole cose del quotidiano che lo irritavano, quelle piccole cose che nullificavano d'un soffio la sua accortezza, gli facevano venir voglia di essere come loro. Se la gente fosse solo più attenta alle regole, il mondo girerebbe meglio, ma la noncuranza di molti lo impedisce. Lui è uno di quelli che, un po' per rispetto e un po' per timore, porta la macchina al lavaggio quando ancora non è eccessivamente sporca o, quantomeno, con i posacenere svuotati.

Entrò nel portone lanciando immediatamente un'occhiata alla sua cassetta delle lettere, gesto questo oramai usuale, ed osservò la posta arrivata in sua assenza: era in attesa dell'arrivo della bolletta bimestrale della corrente elettrica. Aveva concordato con la sua banca il pagamento in automatico delle bollette, cosa che lo tranquillizzava molto e che lo liberava dall'assillo della possibile dimenticanza.
Quest'ultima sempre in agguato anche nei confronti di chi come lui annotava tutte le scadenze su di un calendario appositamente affisso alla parete del suo studio. Nonostante questo, la bolletta era sempre la sicurezza ulteriore e totale della liberazione finale del suo debito. Poteva in tal modo essere definitivamente tranquillo, avrebbe custodito la ricevuta e rinviato di due mesi l'attesa. Ma la lettera nella cassetta non poteva essere una bolletta, l'avrebbe riconosciuta facilmente.

Attraverso un'ampia fessura della buca si intravedevano sulla busta dei caratteri grafici a lui poco familiari. Liborio sicuramente non aveva mai ricevuto una lettera di quel genere, non la conosceva. Non poteva trattarsi di qualcosa di pubblicitario dato il colore giallo della busta che la rivestiva di serietà. Forse una lettera di quegli Enti umanitari che di tanto in tanto chiedono contributi per la loro causa, oppure una campagna pubblicitaria di qualche prodotto. Liborio si avvicinò e riuscì a vedere, attraverso la fessura, soltanto il suo nome sulla busta senza alcuna indicazione circa il mittente.

Si decise! Posò il giornale e cercò la chiave della cassetta nel mazzo che aveva in mano. La chiave della porta di casa era già tra il pollice e l'indice, pronta ad aprire. Era facile trovarla, Liborio l'aveva messa alla fine del mazzo secondo un ordinato criterio di grandezza per rendere la ricerca più facile al tocco delle mani. Con un rapido gesto prese la piccola chiave della cassetta e finalmente la aprì traendone fuori la busta. Il mittente, in alto a sinistra sulla busta, era l'Ufficio Comunale della sua città.
Di cosa poteva trattarsi? Forse pagamenti di nuovi tributi, oppure semplici comunicazioni? Si affrettò ad aprirla. Prese la chiave più lunga e la inserì nella piega della busta e, con un preciso taglio, riuscì a dividere in due la busta e tirare fuori la lettera. Nel frattempo era arrivato all'ascensore,che era fermo al quarto piano, pigiò il bottone per chiamarla e si accinse a dare una prima occhiata alla lettera.
Proprio in quel momento sentì aprire il portone e dei passi avvicinarsi. Liborio alzò lo sguardo e, come improvvisamente fulminato da un timore, richiuse la lettera avviandosi verso l'uscita. Svoltato l'angolo, formato dal vano dell'ascensore, riconobbe, come aveva sospettato, il vicino di casa, lo salutò ed uscì.

Liborio aveva sempre evitato, quando poteva farlo, gli spostamenti in ascensore con i propri condomini. Con loro aveva dei normali rapporti di buon vicinato e in tali situazioni, oltre il saluto, non sapeva mai cosa dire. Essi, d'altronde, non erano da meno. Lo imbarazzava stare infiniti secondi in silenzio a leggere e rileggere le avvertenze dell'ascensore che oramai conosceva a memoria: "portata massima 4 persone, Kg 320", oppure parlare del tempo per occupare una manciata di secondi con il malcapitato. Per evitare tali situazioni era disposto a tutto ed infatti, recitando con sé stesso come se qualcuno l'osservasse, fece finta di aver dimenticato qualcosa in macchina per poter tornare indietro.
S'incamminò velocemente verso l'uscita e dopo pochi passi incontrò il ragionier Princa. Il ragioniere abitava con la famiglia nell'appartamento accanto a quello di Liborio; in tanti anni di convivenza nello stesso palazzo, si erano scambiate poche frasi. La conoscenza che ognuno aveva del proprio vicino era dovuta ai rumori che le pareti lasciavano passare più che ad altro.
Doverosamente, ogni volta che si incontravano, si scambiavano fuggevoli saluti, in fondo si temevano senza conoscerne il motivo. Il ragioniere sollevò di poco la testa per rispondere al saluto di Liborio e svoltò subito l'angolo. Liborio fuori dal portone, oramai fuori pericolo, si diresse verso la macchina. Poteva benissimo attendere qualche secondo, sentire la partenza dell'ascensore e rientrare, ma qualcuno dal balcone poteva averlo visto entrare ed un'uscita così repentina, seguita da un'attesa fuori il portone, non trovava giustificazioni, l'avrebbero preso per un tipo strano, molti avrebbero spiegato in chissà quanti modi quella sua inspiegabile attesa, era quindi necessario che fingesse fino in fondo.
Si diresse verso la macchina, la riaprì e finse di cercare qualcosa. Dopo poco richiuse la macchina e, dirigendosi verso il portone, si assicurò con la coda dell'occhio che nessuno stesse entrando con lui nel palazzo: una seconda finzione sarebbe stata difficile da sostenere. Appena avutane la certezza, cambiò panorama nei suoi pensieri e si dedicò al suo messaggio; rinfrancato dalla sua brillante azione liberatoria. Pigiò il bottone dell'ascensore e prese la lettera.

" Gentile Signor Liborio F.,
siamo spiacenti doverLe comunicare che, a seguito di alcune indagini nei nostri archivi non risulta la sua nascita. Pertanto sarà impossibile rilasciare qualsiasi certificato. La preghiamo di rivolgersi allo sportello n° 547 per chiarimenti".
La Segreteria

Liborio lesse più volte la lettera per avere la certezza di aver letto bene e poi sollevò la testa per riflettere.
"Non risulta il suo certificato di nascita",
cosa voleva dire? Un errore e, in tal caso, cosa doveva fare? Rinascere?
Liborio, che prendeva sempre tutto seriamente, non poté che sorridere a una tale eventualità. Domani sarebbe andato allo sportello n. 547 e avrebbe fatto valere il suo rincrescimento. Lì conosceva il Signor Tarenzi, si sarebbe sicuramente rivolto a lui per sbrogliare questo banale quanto assurdo problema.

L'ascensore si fermò al piano, Liborio uscì e con la chiave di casa già pronta nella mano destra aprì la porta. La casa era vuota, come sempre, da quando la sua unica donna, Rosaria, lo aveva lasciato proprio nel giorno del suo compleanno. Ogni volta che apriva la porta di casa si ricordava di lei; forse avrebbe voluto soltanto che qualcuna, con le ciabatte ai piedi, accogliesse i suoi rientri serali.

Chiuse lentamente la porta dietro di sé ed appese le chiavi. La chiusura della porta era sempre accompagnata dalle sue mani, diversamente avrebbe fatto rumore e non sopportava di segnalare fastidiosamente agli altri il suo rientro. Quando usciva di casa, invece, per risparmiare qualche minuto di tempo agiva secondo un piano tutto suo : accostava la porta, chiamava l'ascensore, nel frattempo ritornava a chiudere con le chiavi la porta di casa, per poi trovare l'ascensore già in attesa.
Se avesse prima chiuso la porta di casa e poi chiamato l'ascensore, avrebbe perso molto più tempo : quasi un minuto in più, aveva calcolato Liborio, di snervante attesa davanti l'ascensore.
Un'altra giornata finita, il lavoro abbandonato in ufficio e finalmente a casa, pronto a dedicarsi un po' al Liborio che aveva lasciato dieci ore prima.
Per prima cosa andò nel bagno a lavarsi le mani, operazione che impeccabilmente occupava sempre i suoi primi minuti. Un profondo piacere provava nel cospargere di sapone le sue mani, strofinarsele una decina di volte, e poi far magicamente scivolare via il sapone con un abbondante scroscio d'acqua osservando lo sporco che andava via nel buco del lavandino. Con tale gesto si ripuliva di dieci ore di assenza, di dieci ore di socialità. L'asciugamano a destra, rigorosamente utilizzato solo per le mani, pronto all'uso.

Si tolse l'impermeabile, la giacca, la cravatta e indossò il solito maglione, sentendosi così più libero, più sciolto nei movimenti, meno costretto nella cravatta.
Si diresse in cucina, i piatti sporchi della sera precedente nel lavabo, qualche briciola di pane a terra ed il bicchiere sulla tavola con un po' di vino rosso essiccato sul fondo. Meccanicamente mise a posto tutto, occupando quel tempo come transizione tra le due fasi della sua giornata.

Dopo qualche minuto Liborio fuori il balcone, con una sigaretta tra le dita, contemplava il paesaggio. L'abitazione di Liborio era abbastanza in alto rispetto alla città. Ciò gli permetteva di trascorrere buona parte del suo tempo ad osservare i tetti delle abitazioni. Appoggiato alla ringhiera, volava con lo sguardo tra i palazzi, gli alberi, gli orizzonti, si confondeva con gli uccelli che volavano. Tra una boccata e l'altra il suo sguardo si perdeva poi tra le strade che di giorno percorreva per andare al lavoro; vagava nello spazio di fronte a sè come la nube del fumo della sigaretta che soffiava lentamente dalle sue labbra.
Viveva intensamente questi momenti. Di preciso non pensava a niente ma aveva l'aria di chi scruta un'opera d'arte. In quei pochi minuti di piena distrazione fuori il balcone, Liborio era pienamente appagato dalla contemplazione del niente, sembrava che col vuoto nei suoi pensieri potesse magicamente meditare su tutta la sua vita. Si ricordò ad un tratto della lettera.
Come poteva credere a ciò che vi era scritto? E' come se gli dicessero:
"Signor Liborio, siamo spiacenti di doverLe comunicare che Lei non esiste, pertanto regolarizzi la sua posizione nel modo più opportuno".
Erano certamente delicati e non avrebbero certo usato la parola morire, troppo immediata, poco professionale. Rise di vero cuore (fuori il suo balcone poteva farlo, non aveva abitazioni di fronte dalle quali potevano osservarlo).
Si accorse nel frattempo che la sigaretta era finita, non poteva di certo buttarla giù, non era abituato. Ogni volta comunque lo pensava guardando in basso, ma alla fine si decideva a bagnarla sotto la fontana ed a gettarla con sicurezza nel cestino dei rifiuti. Rientrò in casa erano oramai le 8 di sera, doveva cenare. Aprì il frigorifero, come per farsi suggerire qualche pietanza, tirò fuori l'arrosto comprato il giorno prima. Dopo pochi minuti era già pronto nel suo piatto, in un angolo della sua tavola, tra fogli, sigarette, posacenere, giornali.
Prese l'immancabile bottiglia di vino ed un bicchiere. Tra un boccone, qualche sorso di vino e il divagare tra le pagine di una rivista casualmente presente sulla tavola, consumò il pasto.

Fermo sulla tavola come se avesse esaurito tutti i suoi compiti, Liborio ritornò a pensare alla lettera.
"Che senso aveva inviargli un messaggio del genere? Qualcosa di inconsueto doveva esserci..., d'altronde era una precisa richiesta..., e se fosse uno scherzo?"
Liborio si alzò e andò a prendere la lettera. Si sedette di nuovo sulla sedia e la rilesse. Verificò l'intestazione, la busta, la firma, tutto regolare:
"....... la preghiamo di rivolgersi allo sportello n° 547 per chiarimenti. La Segreteria".
Doveva soltanto rivolgersi allo sportello: Ma cosa avrebbe potuto fare?
Riempì di vino il suo bicchiere e lo mandò giù d'un sorso.
La lettera sembrava porgli un serio interrogativo sulla sua esistenza. I suoi tempi uguali, le poche ore che lo separavano dal sonno, il lavoro per lo stipendio, le camicie da stirare, angoli tristi della sua casa.
Bevve un altro sorso di vino.
Ricordava la sua infanzia, le partite di pallone nella piazzetta dietro casa, e d'inverno la lettura di qualche buon libro davanti al fuoco del camino, con sua madre intenta a cucire e la sorellina più piccola a giocare nel corridoio.

Si rivedeva bambino, quando frignava per ottenere qualcosa. Tentò giocosamente di ricordarne il suono. Riempì il bicchiere per darsi carica e provò: gli riusciva magnificamente bene. Tentò anche di saltellare ripetendo una vecchia filastrocca come quando, ancora più giovane, giocava con la sua cuginetta a casa dai nonni. Il vino sembrava riscaldargli il sangue, tracannò un altro bicchiere.
Tempi felici, ma adesso anche lui era felice, riviveva quegli antichi e familiari calori.
"Empi il bicchier che è vuoto, Liborio, svuota il bicchier che è pieno", diceva ad alta voce con euforia dando giù del rosso, "non lo lasciar mai vuoto, non lo lasciar mai pieno".
Immaginava un pubblico che lo acclamava, che lo incitava: vai Liborio, sei grande. Lui che suonava su di un palco sotto la luce dei riflettori. La sua chitarra vibrava note paradisiache. Un'esplosione di fuochi d'artificio in cielo, festa collettiva. Tra il pubblico molti suoi conoscenti che non avrebbero mai immaginato le sue capacità. Liborio suonava per loro. La gioia che offriva con la sua musica lo esaltava. Liborio lievitava, amava tutti, immaginava sé stesso raccolto in affettuosi abbracci con i suoi affetti, i suoi amici, Rosaria, i suoi condomini. La tenerezza tracimava dai suoi occhi, non temeva più nessuno.

Ad un tratto i suoi occhi caddero sulla lettera, il suo viso cambiò espressione, la luce dei riflettori si spense ed il pubblico andò via, tutti ripresero la maschera di sempre. Il ticchettio dell'orologio della cucina lo riportò nella stanza.
Si ricordò della lettera,
"non esiste il suo certificato di nascita"
"non sarà possibile rilasciarle...."
note martellanti nel suo cervello, un incubo, un'ossessione. Immaginava il suono della sveglia, lui in una corsa estenuante verso l'Ufficio Comunale e l'impiegato chiudergli lo sportello in faccia proprio quando era il suo turno. Immaginava poi un'ossessiva nuvola di persone che gli diceva:
"Liborio il certificato!"
"allo sportello 547, prego"
"non risulta"
"non risulta"
"attenda un attimo, per piacere".

Lui preso dalla nuvola di persone, ingoiato dalla folla, a terra con tutti addosso:
"mi dia il certificato"
"è nella tasca"
"no, nel portafoglio"
"non risulta"
"non risulta".

Basta!

Liborio impaurito, si alzò di scatto per liberarsi dal soffocamento facendo inavvertitamente cadere la bottiglia sul tavolo. Si riprese guardando il vino che usciva a fiotti dalla bottiglia, rimase immobile ad osservarlo. Prese poi il bicchiere ancora pieno e ingoiò il vino.
Pian piano ritornò in lui quell'antico e fiducioso calore; il sangue a circolare nelle vene a riscaldargli il corpo. L'euforia cominciava a far capolino nel suo cervello. Prese la lettera tra le due mani e si alzò. Con le mani dritte davanti a sé la mise a testa in giù e cominciò a ballare con essa accompagnandosi col canto. Piroettò nella stanza, nel corridoio, nel salone, ritornando poi indietro e motivando con allegria:

"da dan . . . . , da dan . . . ., da dan . . . ."

Ritornò in cucina, barcollava e preferì appoggiarsi al tavolo, posò la lettera sulla bottiglia ed esausto si lasciò cadere sulla sedia. Si fermò ad osservare la composizione: una bottiglia, del liquido dentro, una lettera fuori. Natura morta con certificato, pensò ridacchiando.. La testa in subbuglio, la stanza gli ruotava attorno. Ruotava tutto, anche il vino rimasto nella bottiglia. Anzi, sembrava muoversi come le onde del mare, da una parte all'altra della bottiglia. La lettera fuori a comporre la sua natura morta.
Si fermò ad osservare la bottiglia, il suo viso assumeva sempre più un'espressione pensierosa, si ingigantiva. Seguiva con la mente il pensiero che in quel momento, come una cometa, attraversava il suo cervello. Pensava alla speculare e positiva immagine del suo grigiore quotidiano. Pensava all'inverso delle cose; immaginava un mare limpido, una splendida spiaggia, una bottiglia con una lettera all'interno che galleggiava sull'acqua: una bottiglia, una lettera dentro, un liquido fuori. Natura viva: l'inverso delle cose.

Liborio con un irrevocabile e decisivo gesto finale andò nello studio, prese il portafoglio, le chiavi della macchina e scese giù. Era felice. Si mise in macchina, partì.


Epilogo

Dopo oltre dieci anni dalla scomparsa di Liborio, molte sono state le ipotesi circa la sua scomparsa: alcuni suoi condomini avevano sempre notato in lui una "certa stranezza", da cui ne arguivano l'inevitabile tragica conclusione. Altri, confortati da alcune testimonianze, erano sicuri di una sua presenza nei mari del Sud dove, secondo una diffusa diceria, viveva felicemente con una donna e due bambini.
Nonostante varie ricerche, nessuno seppe dire più di tanto, nessuno seppe mai fornire la verità.
L'unica cosa certa fu che i parenti privi di notizie, non poterono mai dichiarare la sua morte presunta, perché nessuno, allo sportello 547, aveva mai regolarizzato la sua posizione.

Non poté mai giuridicamente morire.