Foto-pellecchia.jpg (3895 byte) IL NOSTRO PRIMO PRESIDE

PROF.  GIOACCHINO PELLECCHIA

                                                                          

Il Prof. Gioacchino Pellecchia è stato il primo Preside del Liceo Scientifico Statale istituito nell’anno1968/69che allora era denominato:Liceo Scientifico Statale di Cassino.

 

Gioacchino. Pellecchia fu Preside del nostro Liceo dall’.1.10.1968 al 27 aprile 1971, quando improvvisamente, nell’esercizio delle sue funzioni, fu stroncato da un infarto.

Il 6.5.1971, il Collegio dei docenti del Liceo Scientifico Statale di Cassino, su convocazione   del preside incaricato  prof. Antonio Di Zazzo, deliberava l’intitolazione del Liceo Scientifico Statale di Cassino al nome del Preside Gioacchino Pellecchia”

 

La figura umana di Gioacchino Pellecchia ha una sua esemplarità, che in tempi come i nostri, può assumere i toni di leggenda, senza perdere il fascino proprio della contemporaneità. Rimasto orfano di padre a sei anni appena, cominciò ad imparare dalla vita le dure lezioni della miseria.

 Lo squallore più vasto lo circondava, ma la sua intelligenza, sorretta da una visione precoce e umana della vita e da una forza di volontà sublime, lo sostenne e lo guidò, attraverso un’adolescenza di durissimi stenti verso la conquista del sapere.

Non dispose mai, in tutto il corso degli studi medi, di libri veramente suoi; eppure la sua carriera scolastica fu brillante.. Già allora era di esempio ai suoi compagni per il forte attaccamento alla scuola e per l’ardente amore del sapere.

Tutti, professori ed amici, impressionati dalla acutezza del suo ingegno, lo aiutarono a superare le difficoltà economiche.

Conseguì a pieni voti l’abilitazione magistrale a 16 anni; a 17 la maturità classica, senza l’ausilio di professori privati; a 21 la laurea in lettere discutendo una apprezzatissima tesi sul “ Provenzalismo del 500” con il Prof. Bretoni.

Le sue umili origini e i tempi ingrati avevano imposto presto alla sua vita un ritmo logorante di lavoro, che una connaturale vocazione dirigeva verso l’insegnamento. Laureato e subito vincitore di cattedra di Italiano-Latino e storia nei Licei, al primo concorso, continuò ad impegnare le sue giornate in uno studio assiduo perché mai i suoi alunni fossero privati di quanto più ricco e aggiornato la cultura potesse fornire. A quegli stessi alunni egli offriva il nutrimento del suo sapere e l’esempio della sua abnegazione anche in molte ore di insegnamento straordinario.

La sua vita intesa come apostolato fu spesa tutta, senza retorica, al servizio della scuola che costituì il suo unico impegno, il suo esclusivo lavoro per lunghissimi anni della sua breve esistenza.

Non pago della sua sublime azione educativa svolta nella scuola, intraprese iniziative di attività culturali parascolastiche nelle quali profuse la sua passione e il suo zelo fino allo spasimo.

Le rappresentazioni da lui organizzate e dirette di alcune opere del teatro di Betti e di Fabbri ebbero risonanze molto vaste.

Nel 1968, assumeva per concorso la presidenza del Liceo Scientifico di Cassino  che, istituito nel 1960, era allora al suo primo anno di vita autonoma, ma anche ai suoi primi vagiti sul piano strutturale ed organizzativo.

Mancava di una sede, di ogni idonea apparecchiatura scientifica, di ogni sussidio didattico; egli, nel lasso di brevissimo tempo, per quel singolare e fascinoso alone di simpatia da cui era circondato anche nelle sfere del mondo politico e amministrativo, seppe dare al Liceo Scientifico di Cassino una sistemazione decorosa e una impostazione seria a tal punto che la sua popolazione scolastica nel triennio della sua presidenza raggiunse punte vertiginose.

Dalla sua azione di Preside, condotta sempre con alto senso di responsabilità e incomparabile competenza, non disgiunse mai quella di docente appassionato e di educatore insonne e solerte.

Frequentissime erano, in tutte le classi, le sue visite, che assumevano sempre il valore di un dono della sua illuminata dottrina; nelle classi quinte liceali, in prossimità degli esami di maturità, soleva tenere, anche a costo di evidenti sacrifici personali – le sue condizioni fisiche non glielo consentivano – lezioni sfibranti e promuoveva dibattiti per stabilire il coordinamento e il miglioramento della preparazione culturale degli alunni che si accingevano alla prova finale.

La sua azione poliedrica e instancabile era aperta a tutte le iniziative da cui potesse trarre vantaggio il mondo della scuola e della cultura.

Agli insegnanti non fu mai avaro di consigli e suggerimenti per il miglioramento e l’aggiornamento della loro cultura; agli stessi egli seppe essere di esempio fulgido in ogni espressione dei propri doveri sia nella vita pubblica sia in quella privata.

E da tutti egli fu amato per questa ineccepibile coerenza tra i suoi principi ispirati a sani e alti ideali e la sua vita spesa al servizio di quegli ideali, nella più luminosa trasparenza di una catarsi realizzata (ora per ora, giorno per giorno) bevendo al calice ora dolce, più spesso amaro, di una vita di tante fatiche e di così poche gioie.

A così alta azione educativa svolta nella scuola e per la scuola il Preside Gioacchino Pellecchia seppe aggiungere un assai pregevole attività di saggista e di critico. Molteplice e originale è infatti la sua figura di studioso; tanto esuberante che colui il quale s’accinge a tracciare un pur breve profilo sente come provvisoria e non conclusiva ogni formula che ispiri a definirla.

Tuttavia non ci pare impossibile enucleare le linee costanti della sua attività.

Gioacchino Pellecchia fu indubbiamente uno studioso “militante” nel senso più ricco del termine, tutto proteso al recupero delle ragioni morali e ideologiche della cultura fino a fare di queste ragioni la ragione della propria esistenza.

Quasi naturalmente perciò i suoi interessi si appuntarono sempre su autori e momenti della storia letteraria di più difficile valutazione critica e, proprio per questo, più “compromettenti”.

Autori come Camus, Kafka, Bernanos, Pasternak, che furono oggetto di altrettante conferenze presso circoli culturali della provincia, costituirono i campioni sui quali si esercitava, con impegno perentorio la sua spiccata intelligenza critica, tutta tesa a enucleare le radici storiche e ideologiche e a verificarle continuamente nell’esegesi della lingua e dello stile.

Come saggista pubblicava nel 1959 uno studio su “Vittorio Alfieri e la tragedia della libertà”; autore che la critica tradizionale aveva inserito nella categoria fluida e, quanto meno, equivoca del “protoromanticismo”.

G. Pellecchia si impegnò così a rintracciare e ad acquisire una sistemazione storico-culturale meno ambigua, anche se meno comoda, del teatro alfieriano.

Nell’analisi scrupolosa ed attenta sia dei contenuti ideologici, sia della struttura formale della tragedia, evidenziò chiaramente la presenza di temi e di caratteri tipici della cultura illuministica.

Solo che proprio quei temi e quei caratteri erano solitamente esibiti  come definenti la nuova temperia romantica.

Sicchè l’originale ipotesi critica di Giacchino Pellecchia non solo e non tanto valeva come nuova interpretazione del teatro alfieriano, ma proponeva altresì una nuova prospettiva storiografica che rendesse dell’illuminismo un’immagine meno statica e meno generica e che pertanto riducesse nelle giuste proporzioni le diversità ideologiche e socio-culturali nei confronti del Romanticismo.

Il suo commento alla “Virginia”, apparso nel 1968, era destinato ad offrire la conferma anche a livello linguistico e stilistico di quell’ipotesi critica .

Nel 1963 pubblicava il “Saggio sul teatro di Ugo Betti” per il quale otteneva un premio di cultura dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ed anche Betti, si sa, è autore “difficile”, forse la figura più problematica e più avvincente del teatro italiano dopo Pirandello.

Gioacchino Pellecchia riuscì a riscattare il teatro bettiano da ogni ipoteca decadentistica o cerebralistica ritrovandone la matrice interamente cristiana.

Un cristianesimo che nel Betti si esprime sempre come trama quotidiana dell’esistenza e insieme come sublimazione morale del quotidiano.

Di alcuni drammi di Ugo Betti e di Diego Fabbri curò altresì la regia allorché promosse il Liceo Classico di Cassino una filodrammatica studentesca.

E fu anche questa una ricerca di stile, egli era consapevole che il linguaggio teatrale è solo provvisoriamente letterario ma è sempre strutturalmente scenico e pertanto sulla scena va analizzato.

Ma fu nello studio dell’opera poetica di Guido Gozzano che Gioacchino Pellecchia si produsse in un più prolungato cimento critico.

A Gozzano sono dedicati “Per uno studio su Guido Gozzano” apparso nel 1966; il più breve “Guido Gozzano e il suo tempo” apparso sull’Argine  letterario (rivista che da qualche anno dirigeva insieme con altri) e una sezione del recente corso di dispense (Appunti sulla lingua poetica del ‘900) scritte in qualità di docente di Storia della lingua e della grammatica italiana presso l’Istituto di Magistero di Cassino.

Anche per Gozzano bisognava rimuovere le incrostazioni accumulate dalla critica tradizionale; e, soprattutto, l’immagine di un Gozzano ideologicamente anemico, chiuso nel paradiso a tinte smorte ed esangui del crepuscolarismo.

G. Pellecchia individuò con analisi attenta e puntuale la misura ideologica della poesia di Guido Gozzano nonché la netta e ineludibile presenza delle vicissitudini storiche del suo tempo.

Sicchè la poesia gozzaniana, anziché alimentarsi di un intimismo dai toni sentimentalistici e patetici costituiva per G. Pellecchia la rivelazione e l’espressione di una crisi storica lucidamente avvertita.

L’ironia gozzaniana era interpretata come il contrassegno poetico dell’analisi corrosiva dell’intelligenza: una poesia di crisi che si disponeva altresì come visione e interpretazione critica della realtà.

Del resto le minuziose ricerche condotte sullo stile e sulla lingua approdarono alla scoperta di una virtuosa e  compiaciuta tecnica intellettualistica del verso gozzaniano la cui  potente “letterarietà” agiva dialetticamente  come antidoto ad ogni forma di retorico estetismo letterario. Si può dire che  le linee  costanti del metodo critico di G. Pellecchia siano esemplarmente rintracciabili nel suo lungo itinerario di studi gozziniani.  Un metodo che consta essenzialmente di un graduale approfondimento verticale: dopo aver colto la latitudine storica del testo letterario G. Pellecchia   ne enuclea le interne componenti ideologiche e socio-culturali ed infine ne esibisce le più intime procedure stilistiche.

Ma la passione “militante” di G. Pellecchia lo rese costantemente  attento ai nuovi sviluppi della letteratura contemporanea.

Si può dire, anzi, che la “contemporaneità” fosse la categoria più rappresentativa del suo spirito critico; “contemporaneità” beninteso, non nel senso meramente cronologico, ma nel senso decisamente qualitativo del termine, e cioè come sollecitante e problematica inquietudine della pagina letteraria.

S’intende, perciò, come G. Pellecchia ricercasse anche nella letteratura classica, o meglio, istituzionale quasi mai autori o momenti con sistemazioni storiche e critiche già acquisite, egli era piuttosto naturalmente disposto a raccogliere la traccia di interrogativi e di problemi irrisolti:più che un esperto conoscitore della nostra storia letteraria egli si presentava come un suo “inquisitore”. Sicchè lo stimolo e la spinta ad esplorare le zone più impervie della nostra civiltà letteraria gli proveniva sempre da problemi attuali che, per loro natura, esigevano soluzioni radicali di lunga proiezione storica. Pertanto anche i sui studi su Dante vanno intesi come riprova di questa viva esigenza di “milizia contemporanea”.

Nel 1966 apparve “ Dante e la Ciociaria” pubblicato negli atti del II Congresso nazionale di Studi Danteschi; ma già nel ’65, presso il Provveditorato agli studi  di Frosinone, aveva parlato sul tema “Dante e i suoi tempi” e “Dante e la lingua italiana”.

Per G. Pellecchia la “poesia della geografia della Divina Commedia- come suona il sottotitolo”Dante e la Ciociaria”- nasceva dalla visione teologico-teocentrica di Dante: una teologia che anziché mortificare il paesaggio in un’astrazione puramente allegoristica costituiva al contrario lo strumento metodico di un più analitico e radicale realismo. Del resto l’essersi  cimentato su un tema così specifico non è cosa priva di rischi e pericoli. Ma G. Pellecchia  ben lungi dall’esaurire la sua analisi in una sterile elencazione di luoghi e di fatti – per giunta rinchiusi nel breve perimetro di una topologia provinciale – quasi si servì dell’angustia del tema per il collaudo e la verifica delle sue ipotesi critiche più generali sul realismo dantesco.

Intento per il VII centenario della nascita di Dante organizzava in Cassino, in qualità di Presidente della “Dante Alighieri” , una serie di manifestazioni ad altissimo livello con  la partecipazione dei più qualificati studiosi italiani come Salvatore Battaglia, Antonino Pagliaro,  Giorgio Petrocchi, Ignazio Balzelli, Luigi Alfonsi, Salvatore Comes: altrettante occasioni di verifica e di confronto  dei suoi assunti critici.

Nel 1966 pubblicava “Incontri” (Berto- Pomilio- Rea- Troisi), saggio che costituisce quasi la confluenza  e il centro ideale dei suoi numerosi  studi sulla letteratura contemporanea. Già infatti nel 1963 era apparsa  “ La Ciociara di Moravia o l’essenza del valore” e nel 1961 sulla rivista il Baretti “Gli ultimi romanzi di Dante Troisi” , e ancora nel 1966 il tema della solitudine  nei “Racconti” di Rea sulla rivista  Studium; inedito recentissimo sull’ultimo romanzo di Michele Prisco: “I cieli della sera”.

Spesso inoltre aveva invitato a Cassino scrittori e critici famosi che rispondono ai nomi di Giuliano Manacorda, Emerico Giachery, Rosario Assunto, e di cui riceveva l’altissima stima e la sincera amicizia.

Anche in questi studi sulla narrativa contemporanea la sua analisi si sviluppa in misura d’una intensificazione verticale.

G. Pellecchia riuscì a ritrovare nelle strutture portanti e nella trama linguistica di ciascun romanzo e di ciascun narratore le derivazioni socio-culturali e lo spessore ideologico-politico.

S’intende che la ricerca tesa al reperimento di queste dimensioni, pure in funzione dello stile e della lingua, si risolveva anche come constatazione e ratificazione di essenze e diserzioni: sicchè spesso la sua analisi diveniva diagnosi acuta delle ragioni di crisi e dei mali endemici della nostra letteratura.

E tuttavia  mai nelle sue pagine prevalse il tono della denuncia allarmistica e retoricamente nostalgica.

Anzi, la profondità della sua esplorazione e la penetrante acutezza della diagnosi spesso si offrivano come autentica terapia: scoprendo e denunciandone le essenze egli sottintendeva altresì la necessità inalienabile della presenza del valore.

Sicchè veramente la sua pagina acquistava l’operosa costruttività di un “incontro”; i sapori di un confronto rigoroso ma sereno con lo scrittore.

Già nel lontano 1952 aveva, poi, iniziato lo studio della lingua italiana contemporanea, quando presso il Liceo Tulliano di Arpino aveva intrapreso un folto ciclo di conferenze sull’argomento.

Ma soprattutto negli ultimi anni, seguendo fedelmente la sua naturale inclinazione  all’esegesi e raccogliendo le suggestioni delle opere di Spitzer, Iakohso, Martinet, Chomsky, Eloomfield, Rholfs, si dedicò all’analisi stilistica della poesia del novecento nelle figure di Montale , Ungaretti, Pavese (altrettanti sezioni del suo corso “Appunti sulla lingua poetica del ‘900).

E ci sembrerebbe ingiusto omettere, a conclusione di questo breve profilo, la citazione delle  opere didattiche di G. Pellecchia.

La sua autentica e appassionata dedizione all’ideale educativo lo sollecitava a partecipare attivamente a numerosi congressi e convegni didattici e pedagogici.

E dalla rinnovata consuetudine con le opere della storia della pedagogia egli traeva lo spunto per la precisazione e la soluzione di urgenti e attualissimi problemi di didattica; ne sono viva testimonianza gli articoli pubblicati su riviste specializzate come “L’ora di Dante” in Scuola viva, “Le donne e la crisi della scuola” in Rassegna di cultura e vita scolastica, “impegno e testimonianza sul piano della cultura” in “Coscienza”, “Tempo libero e tempo liberato di S. Comes” ancora in Rassegna di cultura e di vita scolastica, e, infine la recentissima conferenza pronunciata presso il Provveditorato di Caserta sul tema “problemi didattici del passaggio dalla scuola media unica alla scuola media superiore”.