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Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d'Italia

Nata a Trieste il 26 aprile 1925, Ondina Peteani aveva cominciato giovanissima l'attività antifascista nel cantiere navale di Monfalcone in contatto con il gruppo dell'università di Padova guidato da Eugenio Curiel Nell'inverno del `43 si unì ai gruppi partigiani sul Carso che avevano formato il "battaglione triestino": in seguito è stata riconosciuta «prima staffetta partigiana d'Italia». Dopo essere stata arrestata due volte ed essere riuscita a fuggire, fu infine catturata da una pattuglia tedesca l'11 febbraio del 1944 a Vermigliano (Ronchi dei Legionari) e rinchiusa nel comando delle SS di Piazza Oberdan a Trieste, da dove venne poi trasferita al carcere del Coroneo, e quindi deportata, a mezzo carro bestiame, ad Auschwitz alla fine del marzo '44. Sul braccio le tatuarono il numero 81672. Successivamente fu trasferita nel campo di Rawensbruck e quindi, nell'ottobre dello stesso anno, in una fabbrica di produzione bellica ad Eberswalde, presso Berlino, dove riuscì a portare avanti un insospettabile programma di sabotaggio, rallentando il ciclo produttivo, grazie a ripetuti, continui e pignoli controlli, con la scusa della verifica dei torni e delle parti prodotte.

Durante una marcia forzata che doveva riportarla a Rawensbruck riuscì a fuggire dalla colonna dei prigionieri: era ormai aprile. Attraversando la Cecoslovacchia, l'Ungheria e la Jugoslavia arrivò a Trieste solo il 2 luglio 1945.

Dopo la guerra Ondina Peteani ha esercitato la professione di ostetrica, mantenendo l'impegno politico nel Pci, nell'Anpi e nel sindacato. Negli anni Sessanta con il marito Gian Luigi Brusadin aprì la prima agenzia degli Editori Riuniti nel Triveneto, che divenne centro d’incontro di intellettuali, artisti e attori.

In seguito costituì il centro di aggregazione per i giovanissimi della sinistra denominato «Circolo Ho Chi Min» e gestì diverse colonie estive ed invernali in Italia e all'estero.

Con aderenti al movimento democratico di Reggio Emilia fondò l’Associazione pionieri d’Italia.

Nel 1976, il terremoto del Friuli la vide subito presente, dando corpo alla tendopoli di accoglimento di Maiano.

Quindi divenne segretaria regionale del Sindacato Pensionati Italiani della Nuova Camera Confederale del Lavoro Cgil e dirigente delle organizzazioni di ex deportati e dell’Anpi.

Il Lager l'aveva però segnata: come racconta chi l’ha conosciuta, la maledizione di quell'inferno atroce, la permanenza nel campo di sterminio, di cui pure parlava pochissimo, ha rovinato la sua esistenza dal punto di vista fisico, e ha minato il suo spirito, tanto da farle dire spesso: «Non so cosa sia il sogno. Dal 1944 so benissimo cosa sia un incubo».

Ai malanni fisici, negli ultimi anni della sua vita si aggiunsero la depressione e l'anoressia rifiutando, con crescente ostinazione negli ultimi anni, il cibo che non ha potuto condividere con la moltitudine di inermi trucidati nel Lager, verso i quali ha inconsapevolmente sviluppato e maturato il proprio latente "senso di colpa" , ampiamente trattato da Primo Levi, ma nulla ha mai intaccato la sua fede per la libertà e l'indomita coerenza di antifascista e antirazzista, valori inestimabili che ne hanno contrassegnato l'identità. E' morta a Trieste nel gennaio 2003 e la sua dolorosa esperienza accresce il dovere della memoria dell'olocausto, monito per le generazioni a venire.

per saperne di più: http://ondina-peteani.icqs.com

Su 27 gennaio 2005

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