Epoca contemporanea

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Negli anni ’60 la prima svolta: in una società sempre meno contadina e sempre più cittadina, l’esigenza primaria è conservare. È il trionfo di scatolette e tetrapak, pastorizzazione e sterilizzazione. Nell’era della conquista del cosmo (la liofilizzazione è tra i brevetti delle ditte spaziali) il cibo è scomposto nei suoi elementi primari, perde la sua identità per diventare polvere o crema.
L’infatuazione per il sintetico ha breve durata e negli anni ’70 il vero boom è il cibo confezionato pronto ad essere stivato nel congelatore, a volte di grandi dimensioni. Inizia così l’ascesa inarrestabile del surgelato, affermatosi negli Stati Uniti già nel dopoguerra. Il fascino della lunga conservazione, abbinata ai sapori immutati si rivela ben presto irresistibile. Merito del picco di freddo a -20°C che garantisce spinaci anche d’inverno, e capretto fuori stagione.
Negli anni ’80 prevalgono nuovi valori: velocità e qualità, sensoriale e nutrizionale. Agli ingredienti singoli si affiancano i piatti completi, in nome della rapidità di preparazione e di consumo. Il frozen food diventa fast food. Nel 1982 gli italiani consumano 203 mila tonnellate di surgelati, nell’86 si sfiora quota 300 mila. Tra i nuovi protagonisti, gli Iqf, Individually quick frozen, le porzioni per single che tamponano i disastri sentimentali dei giovani rampanti, e gli stir fry, specialità precotte pronte in tempi record, il meglio della cucina mondiale nel congelatore.
Ma gli Anni ’80 sono anche quelli dei grandi scandali alimentari e la corsa al risparmio di tempo e fatica deve fare i conti con una nuova esigenza di sicurezza. L’attenzione si sposta su un tipo nuovo di fresco, cui la tecnologia aggiunge rapidità di consumo (come nell’insalata pretagliata) o valori sanitari. E al surgelato subentra la refrigerazione.
Intorno al ’95 trionfa un’ideologia che al transgenico oppone tipico e biologico e con Slow food l’Italia riscopre il lato edonistico del mettersi a tavola, con un occhio di riguardo alla salute. I prodotti bio e tradizionali conquistano fette sempre più ampie di mercato.
Oggi per quasi tutte le categorie lavorative il pranzo è diventato una pausa dal lavoro e non più pasto, il tempo del cibo non è produttivo per cui va ridotto al minimo tant'è vero che spesso si continua a parlare di lavoro anche a pranzo.
Le donne vivono parallelamente all'uomo i ritmi di lavoro, le nonne sono una specie rarissima in via di estinzione, i ragazzi se piccoli, mangiano nelle mense scolastiche e, se grandi, mangiano a casa da soli o in compagnia nei fast-food; quindi la società dove il tempo è il parametro più vistoso impone uno stile di vita alimentare che noi abbiamo lentamente assimilato con spirito acritico.
Le dinamiche affettive, psicologiche legate al cibo cambiano, e la figura femminile non è più l'angelo del focolare; la casa non è più l'unico luogo dove si consuma il pasto quotidiano, dove qualcuno ha lavorato per metterti a tavola. Il cambiamento radicale dello stile di vita delle famiglie ha condotto quindi a squilibri nutrizionali non indifferenti.
I giovani sono attirati dal fuori pasto (patatine, snack al cioccolato, pizzette...); nel fuori pasto c'è il fascino dello stare insieme ed anche di poter fare delle scelte autonome e diverse da quelle della famiglia. Gli adolescenti mangiano volentieri cibi confezionati, anche negli intervalli tra un pasto e l'altro e davanti alle televisione dopo cena, non mangiano invece frutta, verdura, pesce e la prima colazione è molto povera o addirittura assente.
Tutto si deve assimilare al comportamento del gruppo (vestiti, zaini, letture, musica, cibo); questi aspetti nelle grandi città sono molto più esasperati, però anche nelle piccole città di provincia serpeggia da parte dei giovani una contestazione verso le abitudini alimentari tradizionali.
I mezzi di comunicazione, da parte loro, anticipano e propongono modelli di comportamento alimentare sponsorizzati dall'industria alimentare, e i consumi alimentari, grazie alla TV, si stanno appiattendo in modo veloce e tragico.
Al functional food, il bio «sicuro» che fa bene alla salute, si è affiancato il nutraceutical food, il «cibo arricchito» con vitamine o altre sostanze, a metà tra il cibo e il farmaco, e spuntano cibi strani: latte con Omega 3, pane agli isoflavoni della soia per le donne in menopausa, succhi di frutta alle vitamine, sale con iodio, jogurt al bifidum o, negli Usa, la mela conservata in estratto di vino rosso, con la quantità di flavonoidi (utili contro i tumori) di 5 bicchieri di vino. In Italia si prevede una crescita del settore fino al 20% nei prossimi anni.
"E' bene che la scienza si occupi dell'alimentazione - afferma lo chef Davide Scabin, che a Rivoli, nel suo ristorante Combal Zero, propone piatti futuristici come il cyberegg - ma la gastronomia è un piacere, non un menù da ospedale. Con la nuova cucina molecolare, fisica e chimica stanno cercando di imporsi ai fornelli: una deriva tecnologica che va combattuta".
La tipicità e le sfaccettature della cucina italiana hanno inciso sulla morfologia del territorio e anche sulla creatività del popolo italiano: perdere questa ricchezza è un rischio che non dobbiamo correre.
Proprio per salvaguardare il patrimonio della cultura materiale del cibo, minacciato dalla standardizzazione indotta dal fast food e riscoprire i sapori delle nostre tradizioni alimentari, da assaporare in buona compagnia, è nato nel 1989 Slow Food, un Movimento Internazionale a sostegno della cultura del cibo e del vino. Tra i suoi obiettivi anche quelli di offrire, ai consumatori golosi, informazioni sul mercato e strumenti critici per imparare a scegliere il meglio al giusto prezzo e difendere l'ambiente naturale dalle aggressioni dell'agricoltura chimica.
Sono stati istituiti veri e propri “laboratori del gusto”, dove adulti e ragazzi guidati da degustatori professionisti riscoprono la vasta gamma di fragranze e sapori che un cibo può offrire. La maggior parte dei cibi scelti, ha sapori decisi, forti, aromi elaborati per contrastare la tendenza dei giovani a preferire i sapori tenui, i cibi di consistenza soffice: non essendo più abituati ai sapori, non li conoscono, quindi li disdegnano.
Dopo quasi 15 anni di attività i soci di Slow Food sono oltre 70.000 sparsi per tutto il mondo: sedi nazionali sono state aperte in Germania, Svizzera, Stati Uniti e, più di recente, a Barcellona.

E in futuro la mappa del genoma ci consentirà di nutrirci in modo più adeguato o ridurrà ad un’operazione asettica uno dei momenti più piacevoli della nostra vita?  
O saremo addirittura costretti a emigrare su altri pianeti, vista la drammatica situazione ecologica del globo terrestre?

......?

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