SCELTE ORGANIZZATIVE

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Superare lo schema duale collegio-capo di istituto attivando strutture intermedie per il coordinamento, la progettazione e la realizzazione di pacchetti formativi, dotate di compiti e funzioni di cui rispondere e a cui far corrispondere opportuni riconoscimenti.
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Valorizzare le figure e gli organismi già sperimentati: responsabili di gruppi di ricerca-azione  disciplinari, coordinatori dei consigli di classe, referenti dipartimentali (Eda e sostegno), di gruppo di progetto e team di valutazione. 
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Garantire l'inserimento, secondo criteri di efficacia-efficienza, di nuove figure di coordinamento: funzioni strumentali di area
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Ottimizzare l’organizzazione della didattica alla luce del regolamento dell'autonomia.

Flessibilità

La flessibilità organizzativa e didattica è stata approvata dal Collegio dei docenti come strumento idoneo per favorire il potenziamento, l’approfondimento, il consolidamento e il recupero degli apprendimenti. La sua organizzazione e gestione è demandata ai consigli di classe.

Le ragioni della flessibilità

Il quadro di riferimento tradizionale, che ha orientato per decenni comportamenti e mentalità nel sistema scolastico del nostro paese, pur essendo ancora presente ed influente, non rappresenta più il solo elemento portante dell’offerta formativa delle scuole. È bene precisare che alcuni aspetti di questo cambiamento non riguardano soltanto il nostro paese, ma sono comuni ad altri paesi europei, tanto che diffusi sono stati gli interventi normativi che sembrano favorire le seguenti tendenze:
- richiesta, da parte delle comunità locali, di differenziare l’offerta formativa, sia pure all’interno di un unico quadro nazionale;
- una differenziazione didattica adeguata ai diversi bisogni formativi degli studenti.
- richiesta, da parte degli utenti del servizio scolastico, di poter effettuare scelte personali diversificate;
Se volessimo, con una sola parola, accomunare queste diverse richieste, troveremmo comoda etichetta la “flessibilità”. Questo concetto, ampiamente richiamato in tutta la normativa riguardante l’autonomia scolastica, rappresenta l’insieme di azioni “scelte e deliberate” che consentono di allontanarsi da un’offerta formativa uniforme, statica, determinata una volta per tutte.
La pratica della flessibilità è entrata nella nostra scuola prima dell’autonomia, con un grande sforzo di integrazione dell’extrascuola nel curricolo ordinario. Se l’incontro con l’extrascuola rappresenta la prima delle radici della flessibilità, l’altra è sicuramente dovuta alle sperimentazioni: sia quelle nate direttamente dentro la scuola che cercavano di modulare in modo distintivo la didattica, supportate dalle leggi 517/77 e 270/82 che suggerivano e sostenevano - anche con arricchimenti di organico - la scomposizione delle classi in gruppi per attività di tipo laboratoriale; sia quelle nate direttamente per spinta dell’Amministrazione centrale e note come “sperimentazioni assistite”, perché offrivano alle scuole una sorta di corsia privilegiata ex art.3 del D.P.R. 419/74.
E’ questo il nostro “sfondo integratore” sulla flessibilità che si inserisce, oggi, in un nuovo scenario normativo ed istituzionale. Siamo, con l’articolo 8 del DPR n. 275/99, ma anche con i precedenti e i seguenti, all’interno di una concezione di autonomia curricolare tutta centrata sulla capacità della scuola di “diventare flessibile” per poter coniugare gli aspetti di omogeneità dei curricoli nazionali con gli aspetti di specificità territoriale dei curricoli “locali”. Alla scuola, dunque, spetta la titolarità – oltre che la responsabilità - non solo della flessibilità temporale “per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo”, ma anche delle modalità per integrare, all’interno del curricolo di scuola, “la quota definita a livello nazionale con la quota riservata agli EE.LL.”.
La flessibilità trova un’ulteriore espressione e collocazione all’interno dell’art. 9 dello stesso Regolamento, attraverso la possibilità di ampliamento dell’offerta formativa, spazio privilegiato per le attività in partenariato con gli Enti locali e le Regioni (Cfr. CTP-EDA) ex legge costituzionale n. 3/2001, così Stato, Regione Lazio e Istituzione scolastica assumono autonome competenze diverse che devono potersi integrare in una logica di governance locale. Arriviamo alla legge 28 marzo 2003 n. 53 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale” che prevede al comma 1 dell’art. 2, quanto segue: “i piani di studio personalizzati, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, e prevedono una quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali”.
La locuzione “piani di studio” sostituisce il termine e, forse, il concetto di curricolo. Siamo, in ogni caso, di fronte ad una nuova configurazione dell’offerta obbligatoria, suddivisa tra Stato e Regioni, mancano ancora però i decreti legislativi che dovranno determinare sia l’entità della quota regionale, sia le modalità di flessibilità e l’eventuale quota assegnata alle scuole. A rendere ancora più problematico questo quadro di riferimento, dobbiamo aggiungere il disegno di legge sulla devolution che prevede una ulteriore modifica del Titolo V della Costituzione, che attribuisce direttamente alle Regioni la gestione dell’istruzione in tutti i suoi aspetti. Mai come in questa fase storica i bisogni, scarsamente soddisfatti, dell’insegnamento-apprendimento – motivazione, relazione, operatività, personalizzazione – possono trovare soddisfazione in un approccio di ristrutturazione globale del fare scuola nel segno della flessibilità.
La flessibilità, così, diventa la capacità di mediazione tra rigore scientifico dei saperi e bisogni reali degli studenti, tra garanzia dei livelli essenziali e capacità di differenziazione, tra crescita della scuola e sviluppo della comunità locale. Il rapporto docente/discente, insengnamento/apprendimento, è, per sua natura, flessibile perché non predeterminabile. I modelli ordinamentali, in questo senso, debbono rappresentare vincoli, ma soprattutto risorse, in quanto un sistema di flessibilità deve avere solide fondamenta di rigidità, fatta di indirizzi, regole e controlli La flessibilità, dunque, diventa il supporto indispensabile per la definizione di un Piano dell’Offerta Formativa inteso davvero come strumento fondamentale dell’azione educativa di una scuola, impegnata a perseguire i suoi obiettivi in ordine alla formazione personale, sociale e culturale degli alunni, attraverso un’efficace rappresentazione dei bisogni effettivi e delle aspettative degli utenti.
In questa prospettiva la flessibilità assume il compito, importante e delicato, di favorire una buona integrazione tra due esigenze educative prioritarie e non sempre facili da coniugare: assicurare a tutti gli alunni percorsi formativi e risultati il più possibile equivalenti in termini di competenze e strumenti culturali di base e insieme garantire il massimo di individualizzazione e personalizzazione degli itinerari di apprendimento. Insomma, l’autonomia si qualifica come possibilità per la scuola di offrire “un’opportunità per tutti e per ciascuno”.
Gli ambiti della flessibilità
Nella concreta esperienza della nostra scuola, l’utilizzo della flessibilità riguarda prioritariamente i seguenti ambiti:
- flessibilità del curricolo;
- flessibilità didattica;
- flessibilità organizzativa;
- flessibilità nell’utilizzo delle risorse professionali e finanziarie.
La flessibilità del curricolo si riferisce alla traduzione, a livello di singola istituzione scolastica, delle indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento ed i contenuti, l’introduzione di attività liberamente scelte dalle famiglie, le compensazioni tra le discipline, la regolazione dei tempi delle attività di insegnamento/apprendimento. La flessibilità didattica riguarda l’articolazione modulare degli itinerari didattici, le metodologie ed i raggruppamenti degli alunni, le forme di individualizzazione e personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
La flessibilità organizzativa rappresenta lo strumento di governo dell’Istituzione scolastica e si esplica attraverso una chiara individuazione dei ruoli e delle competenze dei diversi soggetti che operano nell’ambito dell’Istituto, la definizione e l’affidamento di specifiche funzioni “di sistema” ad insegnanti competenti e la costituzione di uno staff di direzione funzionale alle esigenze organizzative e didattiche. Il concetto di flessibilità è fortemente interconnesso con quelli di integrazione e responsabilità.
Con l’autonomia, infatti, diventa possibile consolidare e sviluppare il ruolo di promozione culturale e sociale che la scuola esercita nella comunità locale. Nelle migliori esperienze l’Istituto diventa soggetto attivo nel coordinamento e nello sviluppo delle politiche formative del territorio, nell'integrazione delle risorse professionali, materiali e finanziarie. Con l’ampliamento degli spazi di autonomia, inoltre, aumentano, necessariamente, anche gli ambiti di responsabilità già a partire dall'elaborazione di un Piano dell'Offerta Formativa coerente con gli obiettivi generali del sistema d'istruzione e con le effettive esigenze di apprendimento degli alunni.
Tali ambiti riguardano la responsabilità degli organi collegiali sugli indirizzi fondamentali dell’Istituto, i compiti individuali degli operatori nei diversi ruoli e funzioni, le responsabilità di direzione e gestione delle attività da parte del Dirigente scolastico, la promozione di una leadership diffusa nel quadro di uno sviluppo organizzativo finalizzato al miglioramento del servizio educativo.

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